Dietro le apparenze di una rivalità sportiva, il sottobosco delle curve milanesi si rivela un crogiolo di tensioni, sospetti e lotte di potere nell’omicidio del tifoso dell’Inter, Antonio Bellocco. Esponente emergente della ‘ndrangheta, ha acceso i riflettori su un mondo nascosto, fatto di affari illeciti e rivalità fratricide che superano il confine del tifo calcistico.
Omicidio del tifoso dell’Inter: i “fratelli” della Curva Nord, da amici inseparabili a nemici giurati
Andrea Beretta e Antonio Bellocco sembravano inseparabili. Le loro foto insieme, abbracciati e sorridenti, erano frequenti sui social, simbolo di un legame nato sotto il segno del tifo nerazzurro. Ma dietro queste immagini di fratellanza si nascondeva una tensione crescente.
Beretta, noto come “Berro”, è un picchiatore e figura di spicco della Curva Nord dell’Inter. Con un daspo di dieci anni da tutti gli stadi e legami noti con la ‘ndrangheta di Pioltello tramite Roberto Manno, è un volto familiare nelle cronache criminali. Dall’altro lato, Antonio Bellocco, detto “Totò ‘u Nanu”, era il nipote del boss Umberto Bellocco, una delle figure di maggior rilievo della ‘ndrangheta calabrese. Condannato a nove anni per associazione mafiosa, Bellocco si era trasferito a Milano, ufficialmente per motivi ignoti, ma secondo le fonti per gestire affari illeciti e, forse, per scalare i vertici della Curva Nord.
Bellocco si vedeva raramente sugli spalti. Appena un paio di apparizioni, ma tanto è bastato per mettere in discussione il controllo di Beretta. Le voci dicevano che “Totò” avesse cominciato a sostituire Beretta nei giri che contano, creando tensioni crescenti.
Omicidio del tifoso dell’Inter: una partita di calcetto finita in sangue
Martedì sera, Beretta e Bellocco si trovavano insieme su un campo da calcetto per una partita tra ultrà di Inter e Milan. Berro, con fisico da pugile e completo nero, giocava come portiere. Poco distante, Bellocco, il più minuto del gruppo, indossava la maglia numero 23. Una foto postata su Instagram da Marco Ferdico, capo organizzativo della Nord e amico stretto di Bellocco, li descriveva come «fratelli di Milano».
Ma poche ore dopo, Bellocco è stato trovato morto, colpito da molte coltellate. Beretta, fermato dalle forze dell’ordine, ha confessato: «Non dormivo da giorni, giravo armato perché sapevo che mi volevano uccidere». Queste parole gettano luce su un contesto torbido, in cui gli interessi criminali sembrano ben più rilevanti del semplice tifo.
Omicidio del tifoso dell’Inter, la rete di interessi: estorsioni, droga e potere
Al centro di questa vicenda non c’è solo una rivalità personale, ma un intreccio di affari che spaziano dalle estorsioni ai pestaggi, dal traffico di droga al controllo dei parcheggi e dei chioschi dentro e fuori lo stadio. Secondo le fonti investigative, Totò Bellocco stava emergendo come un astro nascente della ‘ndrangheta, ambizioso e determinato a estendere l’influenza della sua famiglia fino a diventare il capo occulto della Curva Nord.
Beretta, d’altra parte, avrebbe visto questa crescente influenza come una minaccia diretta al suo potere. A novembre, avrebbe dovuto finire il periodo di sorveglianza speciale e tornare a muoversi liberamente a Milano, un dettaglio che, secondo gli investigatori, potrebbe aver giocato un ruolo chiave nel delitto.
Omicidio del tifoso dell’Inter: le indagini e la diplomazia delle famiglie mafiose
Le indagini sull’omicidio di Bellocco sono ora nelle mani della Direzione distrettuale antimafia e degli investigatori specializzati in criminalità organizzata. L’omicidio di un Bellocco, avvenuto con modalità brutali come il taglio della gola, non è una faccenda che può passare inosservata. Gli investigatori sono convinti che si tratti di una “pazzia” che potrebbe rompere la pax mafiosa che da anni domina su Milano, destabilizzando equilibri consolidati.
Un contesto pericoloso: tra sospetti e affari loschi
L’omicidio di Bellocco, e il coinvolgimento di Beretta, mettono in luce un mondo di sospetti e affari loschi che gravitano intorno alle curve degli stadi milanesi. Da anni, i nomi di mafiosi, ultrà e narcotrafficanti si rincorrono nelle informative e nelle ordinanze, senza mai però offrire una visione chiara e d’insieme.