Adesso basta! State a casa

Non bastano un foglio e una firma per essere liberi di fare quel che vogliamo

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State a casa. È cambiato tutto. E dopodomani sarà trascorso un mese dalla scoperta del primo caso di coronavirus, in quella Codogno che oggi può almeno dire di aver praticamente azzerato i contagi. Come? Stando in casa.

 

State a casa, altro che jogging

Già, perché in pochi sembrano ricordare che per due settimane l’ex “zona rossa” nel Lodigiano è rimasta totalmente (e sottolineo totalmente) chiusa. Senza eccezioni. Senza negozi di elettronica aperti. Senza fare jogging. Senza cene di gruppo in casa. Senza passeggiate per sgranchirsi le gambe.

Da quell’esperienza si è tentato di applicare quel metodo su vasta scala. Ma farlo a Milano sarebbe stato troppo. Come si possono bloccare le metropolitane? Perché chiudere i negozi di animali? Come si fa a limitare gli alimentari? Il risultato è che la conta dei contagi e dei morti (quelli ufficiali) è ormai un tragico bollettino quotidiano.

Appelli. In tanti si sono scrupolosamente attenuti. Io, personalmente, lavoro da casa dalla sera di martedì 10 marzo. Si scende a buttare la spazzatura. Si ordina la spesa online. E se proprio non se ne può fare a meno, ci si mette in fila al supermercato più vicino a casa.

L’auto? Ferma da dieci giorni. Il lavoro? Tutto da casa, in connessione costante con il direttore Christian Pradelli, con tutti i giornalisti della redazione, con la concessionaria pubblicitaria, con le banche. Il resto non ha alcuna importanza di fronte alla tutela della vita. Propria e altrui.

Ecco perché mi son permesso di bollare come “egoisti” gli sportivi che non possono fare a meno della corsetta al parco. Perché tanto – si sa – se ne abusa. Perché la storia di questo Paese dice chiaramente che “fatta legge, trovato l’inganno”. Si è lasciata aperta la possibilità di concedersi una passeggiata.

Ma poi Atm è costretta a chiudere la fermata Tre Torri della linea M5 della metropolitana perché domenica scorsa le famiglie andavano a godersi il sole al parco di Citylife (non recintato e quindi aperto). Così non va.

E quella maledetta curva non scenderà finché non ci applicheremo tutti. Se non basta il proprio senso di responsabilità, ben vengano nuovi divieti in stile “cinese”. O, meglio ancora, inaspriamo i controlli e le pene. Non bastano un foglio e una firma per essere liberi di fare quello che vogliamo.

E l’economia? Troppe chiusure metteranno in ginocchio tutto il Paese. Peccato che più si andrà avanti così, più allungheremo l’agonia. Quindici giorni di totale black-out sarebbero infinitamente meglio di altri due mesi di rincorse ai ciclisti, ai “furbetti” e, purtroppo, ai morti.

Avete un amico o un conoscente dentro un ospedale? Provate a farvi raccontare che cosa accade in quei campi di battaglia: farete fatica ad addormentarvi di notte. Non sentite le sirene delle ambulanze? Non vi mettono angoscia? Per non finire sopra quelle ambulanze e per non mandarci un nostro amico, bisogna chiudersi in casa. Meglio annoiati che intubati, no?

Gli altri. Domani sul nostro giornale vi racconteremo nei dettagli quello che potrebbe diventare un “miracolo”: un ospedale temporaneo nei vecchi padiglioni della Fiera di Milano. Il progetto va avanti. A ritmi serratissimi. Servirà a tutti noi. Perché oggi ogni posto in più di terapia intensiva è una manna dal cielo.

State a casa, le critiche al mondo politico

Il merito sarà di tutti. Non ci sono vinti e vincitori in questa battaglia. Abbiamo criticato, quello sì. L’abbiamo fatto nei confronti del governatore Attilio Fontana quando ha indossato la mascherina, salvo poi comprendere che fosse il minore dei mali.

L’ho fatto personalmente nei confronti del sindaco Giuseppe Sala, che sono certo dimostrerà di nuotare meglio nella “fase 2”, quella della ricostruzione, il suo mare naturale. Nell’emergenza il Comune ha commesso errori, ma – è giusto sottolinearlo – ha saputo anche ammetterlo e correggere (vedi gli affollamenti in metropolitana).

Non conosciamo ancora il commissario Domenico Arcuri. Ed è un bene, perché significa che sta lavorando alacremente senza avere sufficiente tempo per occupare palinsesti televisivi.

Preferiremmo conoscere dal capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, che cosa si sta facendo, quante mascherine sono state ordinate, quante ne sono arrivati, a chi stanno consegnando i respiratori, dove li reperiscono.

Invece, ogni pomeriggio sembra di imbattersi nel titolare di un’impresa di pompe funebri che si limita a snocciolare i numeri di questa tragedia. Serve un altro passo, anche nella comunicazione.

Noi. Poi ci siamo noi. Mi-Tomorrow soffre. E’ inutile negarlo. Le entrate di questa impresa sono totalmente legate al mercato pubblicitario. E se le aziende sono chiuse e i fatturati si sono azzerati, non ci sono fondi per investire in promozione e in comunicazione. Ma poi per comunicare cosa? Offerte di aziende chiuse? Eventi rinviati? Ristoranti chiusi? Nonostante ciò, è bene fare tutti un sacrificio netto e radicale piuttosto che rosolare a fuoco lento. Dipende da tutti noi. Mai come oggi, uno vale uno.

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