Alle spalle la Prima della Scala, in una versione sicuramente particolare visti i tempi, adesso siamo davvero proiettati verso il Natale. Sono tante le incognite. Non sappiamo ancora che Natale sarà finché non lo vivremo davvero.
In molti, probabilmente, vivranno giornate di maggiore solitudine rispetto al passato, altri si troveranno invece nella stessa condizione degli altri anni. Sentiremo l’assenza dei nostri cari, una mancanza che nessuno smartphone può davvero accorciare. Forse siamo solo un po’ sollevati dal non dover partecipare alle decine di cene natalizie di lavoro a cui eravamo obbligati in passato.
E magari, triste consolazione, non saremo costretti a riciclare regali o inventarci qualcosa perché ci sentiamo in dovere, in corse disperate all’ultima strenna. In questo senso, potrebbe essere un Natale decisamente più autentico. Ma se alziamo gli occhi da terra e guardiamo le finestre, i balconi delle case, dei palazzi, vediamo luminarie, luci messe in modo casalingo, alberi addobbati che si intravedono dietro le tende.
C’è un’espressione irriducibile di attesa in qualche modo speranzosa, che va oltre la possibilità di stringersi, di vedersi, di abbracciarsi. Una voglia di mettersi comunque il vestito della festa, di abbellire e abbellirsi, di celebrare l’attesa, di accendere un’atmosfera a cui siamo affezionati, che vogliamo tenere viva più di ogni altra cosa.
Poi ci sono i più piccoli, i bambini a cui non si può sottrarre una magia così grande. Sarà pur particolare, menomato, ridotto, ma sarà pur sempre Natale.