Coronavirus, la fobia ci rende più piccoli

chiantown di milano

Coronavirus. Sembra di essere tornati indietro di qualche anno. La SARS, poi l’Aviaria. Ogni volta che un virus fa la sua apparizione in qualche parte del globo, scatta immediatamente una fobia, un cortocircuito, molto spesso più mediatico che reale, che ci fa provare paura, diffidenza, ansia verso alcune tipologie di persone o di cose.

 

Coronavirus, i precedenti

Ai tempi dell’aviaria, in molti smisero di comprare e di mangiare pollo o uova. Nessuno, oggi, si ricorda di quei momenti. La storia dovrebbe darci lezioni esaustive, ma evidentemente così non è. Oggi lo spauracchio, lo sappiamo, è rappresentato dal Coronavirus. In una città come la nostra, che ha una ricca e operosa comunità cinese, la vicenda sta avendo delle conseguenze che sembrano davvero surreali.

Nei ristoranti cinesi si è vista chiaramente una diminuzione dei clienti, via Paolo Sarpi per alcuni è considerata un luogo pericoloso per la salute, in metro si vedono sguardi di diffidenza. Per carità, di fronte a qualcosa che non conosciamo fino in fondo, di cui non sappiamo esattamente conseguenze e rischi (ma ci basterebbe fidarci di virologi e scienziati, che hanno ben inquadrato i confini del problema), provare paura è normale.

Coronavirus, la sindrome dell’untore

Ciò che non è mai normale è la sindrome manzoniana che vede ovunque “l’untore”, che addita una comunità come potenziale rischio per il solo fatto di esistere. Ci vuole un attimo a passare da un timore al razzismo vero e proprio. Un atteggiamento che la comunità cinese non merita (come nessun’altra comunità tra l’altro).

Non ha nessun senso avere paura di persone che da anni vivono e lavorano qui, tra noi, contribuendo alla ricchezza materiale e culturale di un’intera città. Avere paura è normale, trasformare le paure in fobie non solo è rischioso, ma non serve proprio a nulla. Ci rende solo più piccoli.

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