La fronda dei ristoratori non è decollata. L’iniziativa #ioapro, giudicata un flop dalla Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi da subito contraria alla protesta, ha segnato la differenza che passa tra un “like” sui social e la realtà.
Col passare dei giorni le adesioni si sono assottigliate, probabilmente per paura di ripercussioni sul piano legale e per una generale tutela nei confronti dei clienti, anche loro a rischio sanzione.
Eppure la circolare del Ministero dell’Interno aveva chiesto più controlli proprio nelle grandi città e presso quei locali che, pubblicamente o nelle chat private, avevano dichiarato l’intenzione di alzare le saracinesche. E a Milano qualche controllo c’è pure stato, con tanto di intimidazioni da parte dei presenti in sala con grida e urla all’indirizzo dei poliziotti, come documentato da diversi video circolati sui social ieri sera.
C’è anche, tra i gestori, chi ha trasgredito alle stesse regole che gli stessi ristoratori “rivoltosi” si erano dati: tavoli distanti, mascherine, conti al tavolo prima del coprifuoco. Anche in questo caso i social hanno svelato scene “poco ortodosse” con balli e gente senza mascherina in giro per il ristorante.
Peccato, perché una forma di protesta ben organizzata e meno improvvisata poteva senz’altro aprire un confronto diretto con le istituzioni sul tema delle riaperture in sicurezza e degli indennizzi ad una categoria, quella dei ristoranti, che soffre senza dubbio di una rappresentanza a dir poco debole. Non è infrangendo le regole, a 360 gradi, che si protegge una categoria martoriata e priva di autorevolezza nei tavoli con il Governo.