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24. 04. 2024 02:22

Formigoni, cosa (non) abbiamo imparato dal ’92

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Finisce in carcere la parabola politica di Roberto Formigoni. Presidente della Regione Lombardia per vent’anni, rieletto sempre con percentuali di consenso altissime, quasi mai sotto il 60%. A 71 anni, quasi 72, a causa della nuova legge “Spazzacorrotti”, le porte del penitenziario di Bollate per lui si sono aperte in un giorno di febbraio. Sia chiaro, qui non si discute della colpevolezza o dell’innocenza: il terzo grado di giudizio è arrivato e dobbiamo rispettarlo.

Si può dibattere invece della congruità della pena, della necessità di mettere in prigione una persona di oltre 70 anni per un reato per cui, prima della sopracitata legge, erano sufficienti i domiciliari. Ci sono diversi aspetti da valutare e da approfondire, anche oltre la figura del “Celeste” (così venne soprannominato l’ex Presidente Formigoni). Il primo è una tensione sempre più “manettara” all’interno della società: come se la sacrosanta sete di rispetto della legge e di onestà potesse trovare il proprio compimento solo mettendo delle persone dietro le sbarre, come se non esistessero altri modi di ottenere giustizia, come se non fosse concepibile, all’interno della nostra civiltà giuridica, il concetto di fine rieducativo della pena.

In prigione e buttare la chiave: è questo che sembra chiedere il popolo a gran voce. Un secondo aspetto è politico: se per vent’anni i cittadini lombardi hanno espresso convintamente un consenso senza precedenti verso Formigoni qualche ragione ci dovrà pur essere stata, nonostante tutti sapessero delle inchieste e di un determinato modo di gestire la cosa pubblica.

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Quindi ora come dovremmo giudicare il ventennio formigoniano? Dobbiamo forse dimenticarlo, finisce tutto all’interno di una “damnatio memoriae” oppure possiamo riconoscere successi, sconfitte, lati positivi e negativi? Possiamo continuare a giudicare quel passato storicamente e politicamente o questa condanna mette la parola fine a ogni discussione? Infine, sembra che il 1992 ci abbia insegnato poco o nulla.

Come se in questo paese fosse possibile solo un certo tipo di giustizia, come se il nostro passato possa essere letto solo in ottica criminologa. Che ciò accada anche a Milano, città che da quella storia dovrebbe avere imparato, scoraggia quanti credono ancora che la giustizia sia la cosa più sacra e che per questo non possa essere amministrata secondo istinti unicamente punitivi e catartici.


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