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25. 04. 2024 03:05

Lavoro a Milano: città aperta sì, ma occhio alla propria identità

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Una delle mode del presente – che non esclude il lavoro a Milano – è quella che vede la trasformazione degli uffici in avveniristici open space. Un trend che sta portando a catena ad un’altra tendenza che sembra caratterizzare il futuro, quella della scomparsa della postazione di lavoro: basta scrivanie personalizzate con la foto dei bimbi o pupazzetti regalati dai colleghi.

Questo “nuovismo” aziendale vuole che le postazioni siano intercambiabili, che tu possa lavorare su un divanetto o al bancone del bar mentre sorseggi un cappuccino. Si giustifica tutto questo con la necessità di liberare le persone, di renderle più fantasiose, proattive. In realtà dietro questa moda si cela un pericolo: la spersonalizzazione del lavoro e del lavoratore. In questo modo, senza la tua scrivania, senza la tua sedia o il tuo armadietto, di fatto scompare il segno del tuo passaggio, della tua presenza.

Mentre dall’altro lato è sempre più forte la spinta delle aziende a legare i dipendenti con forme di fidelizzazioni accentuate (“welfare” aziendale, team building e tutte quelle simpatiche iniziative che ci convincono di far parte di una grande famiglia). Da un lato non lasciamo traccia, dall’altro siamo sempre più legati. Una riflessione su questi aspetti sarebbe necessaria a Milano, perché questa è la città del lavoro per definizione: capire come è e soprattutto come sarà la nostra vita in azienda non è solo una questione da lasciare dentro le mura dei nostri uffici, ma riguarda anche la città fuori.

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Questo perché quando cambiano le relazioni nel mondo del lavoro, cambiano necessariamente anche fuori, nella vita tra le strade e le vie della città. Capire se questi cambiamenti sono giusti o sbagliati e come poter proporre delle modifiche sarà uno dei temi cruciali del nostro futuro.


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