L’estate ha portato con sé grandi cambiamenti: un Governo è finito, uno nuovo sta muovendo i primi passi, con una nuova maggioranza. Ognuno giudicherà secondo le proprie convinzioni politiche e sulla base di quello che accadrà nei prossimi mesi. Certo è balzato agli occhi di molti osservatori e di comuni cittadini la totale assenza di esponenti milanesi nel nuovo esecutivo. Milano è assente, teme qualcuno.
Su questo si può fare un ragionamento più ampio, cercando di uscire da un certo provincialismo che spesso rischia di insinuarsi in noi. Certamente è innegabile che questa assenza ponga un interrogativo, ma è altrettanto vero che la nostra città, più di un ministro, ha bisogno di vedere riconosciuta una sua vocazione nazionale, europea, internazionale. Milano infatti è ancora vista con sospetto dal resto d’Italia, anche per un atteggiamento di “superiorità” morale e civile spesso mostrato dagli stessi milanesi.
C’è ancora bisogno di un riconoscimento reciproco, di un incontro, come quello che avviene quotidianamente tra i tanti ragazzi e le tante ragazze che da tutta Italia scelgono di vivere a Milano “per forza” e poi ci restano capendo la bellezza e l’opportunità di viverci. C’è poi da considerare un’altra questione: è davvero necessario che Milano abbia un ministro nel Governo? O è già Milano come entità a essere soggetto politico trasversale e influente sulle scelte?
Infine, c’è un aspetto che i milanesi potrebbero tornare a rivendicare. Parafrasando un celebre presidente americano: «Non chiediamoci cosa il Governo possa fare per Milano, ma cosa Milano abbia da dare al resto del Paese». Partire da qui forse può aiutarci a essere meno provinciali e a chiedere, giustamente, quell’autonomia che può consentirci di essere utili a tutta la nazione.