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19. 04. 2024 17:59

Referendum: sì o no, poi c’è il come

Un “taglio” che porterà ad avere 400 deputati e 200 senatori. Quali sono i pro e i contro?

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Il 20 e 21 settembre saremo chiamati a votare per il referendum sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.

I sostenitori del sì sostengono che questa riduzione non intaccherà la rappresentanza e renderà più snello e rapido il processo decisionale. Quelli del no evidenziano i rischi per la democrazia di un taglio fatto senza riforme accessorie, senza garanzie, e che questo porti soltanto a una minore rappresentanza e quindi meno democrazia di fatto.

Spesso e volentieri, il dibattito viene impostato sui numeri, sui paragoni tra l’Italia e altri Stati, su formule matematiche che a seconda delle posizioni aiutano l’una o l’altra testi. Su questo bisogna rovesciare il dibattito: non è il numero in sé la questione, e fare paragoni matematici, o calcoli aritmetici, in politica (e quindi in democrazia) non ha alcun senso.

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Quello di cui si dovrebbe discutere è se il sistema istituzionale oggi in vigore migliora o meno con questa riforma. O se, forse, non sia il caso di affrontare, una volta per tutte, quello che manca all’Italia per avere una democrazia forte, che quindi rappresenti il popolo e lo garantisca, e al tempo stesso processi decisionali più rapidi, efficaci e al passo con i tempi.

referendum comune milano
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Quello che nessuno, sia tra chi sostiene il sì che tra chi è per il no, può negare è che il giorno dopo i temi resteranno tutti sul piatto: la necessità di superare il bicameralismo perfetto (se vince il sì Camera e Senato continueranno ad avere lo stesso potere, così come se prevale il no; questo è uno dei nodi che rallenta il processo delle decisioni), un sistema elettorale che garantisca governabilità ma al tempo stesso la rappresentanza democratica, il rafforzamento (con i dovuti contrappesi) dei ruoli del presidente del Consiglio.

A ciò si aggiunga l’ultima, ma per nulla secondaria, questione: che i parlamentari siano più o meno può anche essere una scelta “tecnica”. Quello che gli ultimi trent’anni hanno dimostrato, però, è che la qualità non è migliorata: serve quindi più politica e non meno, partiti che tornino ad avere autorevolezza, forza e capacità di selezionare la loro classe dirigente, e persino qualche forma di finanziamento che li renda indipendenti da interessi esterni. Altrimenti, ogni riforma rischia di essere vana. L’anti-politica ha dimostrato quanto serva, invece, la politica.

 

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