Duemilacinquecento euro: con uno stipendio che, fatto il cambio in lire e paragonato ad altre epoche (si parla di 20-30 anni fa), dovrebbe consentire una vita piccolo borghese (e invece in realtà no), a Milano ci si può permettere un monolocale. Sempre che non si abbiano figli o altre spese da affrontare.
Gli stipendi a Milano e l’espulsione delle fasce sociali
Una certa sinistra agita spesso lo spettro della “gentrificazione”, di un cambiamento sociale dei quartieri programmato a tavolino. Non ci si sofferma, invece, su un processo iniziato a fine ‘900 e che oggi si vede sempre più chiaramente. Più che di gentrificazione, dovremmo parlare di “espulsione” progressiva di intere fasce sociali. Giovani coppie che un tempo avremmo definito della piccola-media borghesia non possono permettersi case nelle zone in cui hanno sempre abitato e si spostano più lontano dal semicentro.
I più poveri si spostano dalla città all’hinterland, mentre il “sottoproletariato” si barcamena in periferie in cui il disagio cresce. C’entra il tema del reddito e degli stipendi: la mancata crescita dei salari in Italia incide a maggior ragione in una città come Milano. C’entra (e qui è giusto parlare di gentrificazione) una speculazione marcata su progetti immobiliari pensati quasi esclusivamente per ricchi o per danarosi fondi di investimento.
Stipendi a Milano, la classe media verso la quasi povertà
C’entra una mancata riflessione su come trasformare il welfare cittadino, aiutando anche una classe media sempre più in difficoltà che viaggia sul piano inclinato della quasi povertà. Milano continua a trasformarsi nella sua composizione sociale, ma se non si affronta questo tema si rischia di avere una città che corre ma che non si sa più cosa sia.