Gabriele Fava: «Il coronavirus farà giurisprudenza nel mondo del lavoro»

L’analisi a 360 gradi degli impatti dell’emergenza sanitaria sul mondo del lavoro. Il giuslavorista Fava: «Il Governo deve evitare nefaste ricadute sull'economia reale»

gabriele fava
gabriele fava

Gabriele Fava, l’intervista. Tra le tante osservazioni sulla vicenda coronavirus c’è un aspetto che resto meno analizzato ed è quello “quantitativo”.

 

Gabriele Fava, il giuslavorista spiega gli effetti del coronavirus

Chi può rimanere a casa, infatti, contribuisce a ridurre il tempo in cui si arriverà ad identificare le aree (chiamate cluster per la statistica, focolai per l’epidemiologia) in cui sono compresi tutti gli individui contagiati dal virus. Chi, invece, è costretto a muoversi lo allungherà senza alcuna colpa, sperando che le variabili casuali che regolano il contagio siano a “media molto bassa”.

Quindi stare a casa, in questa esperienza nuova quanto il virus che l’ha generata, è un bene sociale necessario. Ma nel mondo del lavoro si può fare? «Il diffondersi del coronavirus, d’altronde, obbliga i datori di lavoro ad alzare il livello di guardia in tema di salute e sicurezza sul lavoro», spiega a Mi-Tomorrow Gabriele Fava, avvocato giuslavorista, Chairman di “Fava e associati”.

 

Gabriele Fava, intervista al giuslavorista di “Fava e associati”

Come impatta il decreto sulle misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 sul mondo del lavoro dal punto di vista legale?
«Sicuramente la comparsa del coronavirus in Italia e le misure adottate dal Governo per contrastarne la diffusione hanno un grande impatto sul mondo del lavoro. Basti pensare ai lavoratori residenti nella cosiddetta zona rossa, impossibilitati a recarsi al lavoro e riconosciuti, ai fini giuslavoristici, in malattia anche se non infetti».

Lo smart working in questo caso aiuta…
«Si può pensare anche alle agevolazioni in tema di smart working varate dal Governo, con la possibilità di mettere in lavoro agile numerosi lavoratori anche senza il necessario accordo scritto con il lavoratore come previsto dalla normativa vigente.

Il diffondersi del coronavirus, d’altronde, obbliga i datori di lavoro ad alzare il livello di guardia in tema di salute e sicurezza sul lavoro, con valutazioni che variano caso per caso, da compiersi con il supporto tecnico del medico competente al fine di valutare l’eventuale adozione di dispositivi di prevenzione (si pensi ai guanti di lattice o alle mascherine)».

Ci sono due prospettive che potrebbero entrare in collisione: quella del datore di lavoro e quella del dipendente. Fino a dove entrambi possono spingersi?
«Senza dubbio osserviamo da una parte il timore del dipendente a recarsi sul posto di lavoro per paura di contrarre il virus, dall’altra la legittima necessità del datore di lavoro di evitare che a causa del virus si manifestino drastici cali del volume da affari che in alcuni casi potrebbero comportare nel breve periodo l’insostenibilità finanziaria della società e la chiusura.

Sul punto è necessario chiarire che alla luce della normativa in vigore il datore di lavoro è tenuto ad implementare tutte le tutele del caso al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti».

Molte aziende l’hanno fatto…
«E’ un atteggiamento serio e collaborativo al fine di contenere la minaccia e salvaguardare la salute dei lavoratori oltre che la produttività aziendale. Ove l’analisi del rischio si dovesse tradurre nella necessità di chiudere momentaneamente l’azienda, si può ipotizzare l’intervento della Cassa Integrazione per alleggerire l’impatto sociale di simili provvedimenti».

Come si concilia il legittimo desiderio a tutelare la propria salute rispetto al salvaguardare il posto di lavoro?
«Le due esigenze non devono essere viste in stretta contrapposizione, quanto più in simbiosi. La tutela della salute dei lavoratori è una delle principali obbligazioni che ricade in capo al datore di lavoro. Quindi le imprese colpite stanno facendo tutto il necessario per tutelare al meglio l’integrità e la salute della forza lavoro nelle zone interessate.

Occorre ora concentrarsi anche sull’evitare che questa situazione emergenziale si protragga per un tempo sufficiente ad avere effettivamente delle ricadute occupazioni. Il primo pensiero del Governo deve, appunto, essere la tenuta sotto controllo del fenomeno per evitare nefaste ricadute sull’economia reale e sulla forza lavoro».

Questi giorni faranno giurisprudenza: si sente di dare dei consigli?
«E’ senza dubbio una situazione inedita in Italia. Con l’evoluzione del coronavirus, si è invece obbligati ad approcciare il problema della salute dei dipendenti quotidianamente, analizzando nello specifico il rischio biologico di contagio. Il livello di rischio di oggi potrebbe essere completamente mutato domani.

Venendo al possibile consiglio, più che di natura tecnico giuridica mi sento di consigliare buon senso e precauzione. Fidarsi dei provvedimenti delle autorità e soprattutto fidarsi della sorveglianza sanitaria effettuata dal datore di lavoro».

gabriele fava
gabriele fava