La scultrice Arianna Carossa: “A NYC ho capito che l’arte è un mezzo e non un fine”

Arianna Carossa
Arianna Carossa

Lo studio in cui lavora è la perfetta rappresentazione del suo carattere. Scoppiettante e pieno di energia, creativo e fuori dalle righe, ordinato nel suo essere caotico. «Un po’ come definiresti un’artista, no?». Arianna Carossa, è una scultrice genovese a New York. Che ha trovato in Milano, in cui ha vissuto per più di dieci anni, «una città generosa da cui partire». E oggi, dal suo studio a Long Island City, lavora per gallerie e aziende.

I primi passi nel mondo dell’arte, Arianna li compie nel quartiere San Teodoro a Genova, dove è nata e cresciuta. «Ero una pittrice, all’inizio», racconta. Una materia che ha studiato in ogni salsa. «Anche troppo, se vogliamo, perché ogni volta che dipingo non riesco a liberarmi della tecnica. Quindi mi giudico e smetto di dare spazio alla creatività». La pittura però le apre le porte di Milano nella Galleria Cannaviello, dove lavora in via Stoppani per l’artista Enzo Cannaviello all’età di vent’anni.

Una città che le ha sempre provocato una doppia sensazione. «Da una parte di grande apertura: mi ci sono affezionata, perché tutti si danno un gran da fare e si vuole sempre fare bene, assorbendo il meglio da chi arriva da fuori». Ma dall’altra di chiusura e provincialismo: «Ci sono ancora, secondo me, dei cliché comportamentali che portano le persone a vivere in gabbie mentali a Milano».

Gabbie che la fanno sentire sempre un po’ un outsider. E, alla fine, a cambiare. Come per ogni artista che si rispetti, però, agli spostamenti geografici e ai cambiamenti personali, corrispondono innanzitutto le evoluzioni artistiche. Quella di Arianna è il passaggio dalla pittura alla scultura. «Con la ceramica ho sempre provato diletto nel lavorare, è una cosa che ho dentro fin dalle prime volte». Le prime volte arrivano già a Milano, quando lavora con la Galleria Bianconi. Ma è New York dove trova una città e un Paese che le regalano l’identità sociale che non ha mai avuto prima.

Il segreto di questa città «è che qui l’artista è riconosciuto socialmente». Perché «può fare denaro» e perché «è tessuto della società», parte di un legame connettivo che in Italia non esiste. New York la vede come una città apertissima, che fa dell’eterogeneità la sua bandiera, dove «non è necessario seguire delle linee di comportamento predefinite: sei quello che sei». Ed è qui che ha iniziato a costruire una nuova vita, dove dice di aver capito tante cose.

Prima fra tutte che questa, dove si trasferisce nel 2010, è la città delle metamorfosi. «E parlo di metamorfosi personali e professionali». L’ultima è sul ruolo dell’artista nel mondo dei social di oggi. Perché spesso i creativi tendono «a vedere la loro opera come fine, invece il fine siamo noi: l’arte, che sia scultura o che sia pittura, è solo uno strumento per esplorare chi siamo». Proprio perché prima ci sono gli esseri umani. «A ogni persona che incontro a New York vorrei chiedere: “Ma tu cosa fai ogni giorno per essere umano?”. Non tutti hanno una risposta sai».

Oggi Arianna è impegnata in tanti progetti. Il più grande è con Kartell, per il quale sta modificando una sedia di Philip Starks in vista dell’inaugurazione a Soho, Manhattan. E per domani, che idee ha? «Milano per me è come una pantofola, dove torno perché mi sento amata». Ma casa sua non è più l’Italia. «È questa roba qui», rivolgendosi allo studio di Long Island City e allo skyline di Manhattan. «E non la lascio più».

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San Teodoro

È il quartiere a Genova in cui è nata e cresciuta. Nel capoluogo ligure, Arianna ha ancora lo studio dove ha mosso i primi passi e a cui è affezionatissima: «Ogni volta che ci torno mi sembra di non averlo mai lasciato davvero»

2010

L’anno in cui Arianna si trasferisce a New York da Milano, dove ha lavorato per dieci anni. «Quando muovevo i primi passi nel mondo dell’arte ricordo che contattai Leo Castelli, a New York: ero una teenager temeraria»

Metropolitan Building

È l’edificio in cui si trova lo studio di Arianna a Long Island City, quartiere tra i più in crescita nel Queens, dove sarebbe dovuto sorgere anche il nuovo quartier generale di Amazon. Il Metropolitan Building è uno spazio enorme e fuori dal mondo, a più piani. Ha ospitato il set di film come Matrix e viene affittato su base quotidiana e settimanale da compagnie teatrali, fotografi e registi


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