9.4 C
Milano
25. 04. 2024 02:18

Due mesi di guerra, da Milano a Chisinau con i Salesiani: «Nessuna predica è più edificante del buon esempio»

Tre universitari, partiti per Chisinau dall’Istituto Sant’Ambrogio Opera Don Bosco, raccontano per noi come una comunità possa diventare “famiglia” anche nel tempo più buio

Più letti

A Chisinau non si vedono carri armati o razzi nel cielo. Neppure i rumori della guerra. Eppure, l’Ucraina da loro dista solamente un’ora di macchina. I fratelli Luca (24 anni) e Valerio (22) Mazzucchi, insieme alla 23enne Giulia Api, non ci hanno pensato troppo quando è arrivata la proposta di mettere in pausa le loro vite per una settimana e di volare in Moldavia.

Volontari a Chisinau per aiutare chi è in guerra: la storia di Luca, Valerio e Giulia

Giovani universitari di Arese e Bollate, paesini della provincia nord-ovest di Milano, hanno prenotato un volo e sono partiti il giorno di Pasqua. Destinazione centro “Don Bosco” di Chisinau, casa dei Salesiani dal settembre del 2005. Un viaggio di solidarietà: si sono messi a disposizione della struttura per lavorare volontariamente nell’accoglienza dei profughi ucraini che scappano dalla guerra, a due mesi esatti di distanza dall’inizio dell’invasione della Russia in Ucraina. Il conflitto non propone tregue e ogni settimana alla casa “Don Bosco” di Chisinau arrivano nuovi profughi ucraini: attualmente ci sono quaranta rifugiati.

La struttura, nata per ospitare giovani e adolescenti locali, in queste settimane di guerra si è trasformata in un centro di seconda accoglienza per gli ucraini. Il primo passaggio avviene alla frontiera tra Ucraina e Moldavia: la casa “Don Bosco” di Chisinau è la destinazione per chi cerca un rifugio temporaneo nelle vicinanze. Il responsabile della struttura è don Sergio Bergamin, il direttore è don Andrea Ballan.

Le tre parole di oggi? Scoprile in newsletter!

Durante le prime settimane dell’invasione hanno accolto fino a cento persone: Odessa, il centro degli scontri degli ultimi giorni, è distante meno di duecento chilometri da Chisinau. Durante la giornata i compiti di Luca, Giulia e Valerio sono di aiutare con le pulizie, sistemare il refettorio o la palestra, prendere e servire il cibo, scaricare camion con aiuti umanitari: ne arrivano tantissimi ed è persino capitato che abbiano dovuto rimandare indietro alcuni carichi. Insieme a loro ci sono tanti altri volontari e nella casa “Don Bosco” non manca niente per offrire un primo supporto ai rifugiati. I tre milanesi si intrattengono con i giovani: non parlano la stessa lingua, ma provano a insegnar loro qualche parola in inglese.

Nessuno, però, vuole parlare della guerra in corso: il clima nella comunità è disteso e loro sono lì per andare avanti. Nella struttura manca lo spazio personale, ma ai profughi viene anche data la possibilità di guadagnare qualcosina facendo dei piccoli lavoretti per la comunità. Un modo per tenersi impegnati in attesa di trovare una destinazione: si guarda all’Europa alla ricerca di amici o parenti, ma anche al Medio Oriente per vicinanza geografica. La guerra, almeno per loro, resterà un lontano ricordo. Per Luca, Giulia e Valerio, invece, la settimana si concluderà e torneranno alla vita di tutti giorni, fra comfort e privilegi nostrani. Nei loro ricordi, però, porteranno sempre l’insegnamento di don Giovanni Bosco: «Nessuna predica è più edificante del buon esempio». Loro tre, con il loro coraggio e la loro solidarietà, lo hanno appena dimostrato.

Guerra in Ucraina, parlano i volontari

«Da qui il punto di vista
è completamente diverso»

Luca Mazzucchi
24 anni
«Non sembra di essere in guerra, il clima che si respira nella casa è tranquillo e sereno. Un episodio mi ha particolarmente colpito, anche per i racconti che avevo sentito quando ero in Italia: uno dei primi giorni ho accompagnato un volontario in un’altra struttura, vicina alla Transnistria (uno Stato indipendente, non riconosciuto, ma molto vicino alla Russia, ndr): nonostante la vicinanza con uno Stato pericoloso, la situazione, anche avvicinandosi al confine, rimane tranquilla. Si respira un’aria di serenità con i ragazzi, le famiglie e noi cerchiamo di creare intrattenimento per quanto possiamo. La struttura “Don Bosco” è ideale per l’accoglienza di questo genere e la vita qui scorre tranquilla, senza enormi difficoltà o situazioni particolari con cui convivere. Insomma: sappiamo che c’è la guerra, ma ci sembra molto lontana. Proviamo a pensare solo al presente e al futuro di queste persone».

guerra

 

Giulia Api
23 anni
«In un’intervista che hanno fatto ad un ragazzo arrivato qui nei giorni scorsi, lui raccontava di come la sua vita fosse cambiata velocemente, ma anche di come si trovasse molto bene in questa casa d’accoglienza. Anche se non vede l’ora di poter tornare in Ucraina, nella sua terra. A casa sua. Tutto sommato qui non si sente che dietro l’angolo c’è una guerra: si trascorrono le giornate con relativa serenità, noi cerchiamo di fare la nostra piccola parte offrendo il contributo che ci viene richiesto. Mi ha colpito vedere come i rifugiati che ospitiamo tentino sempre di rendersi utili: per questo sono stati offerti due lavori come aiutanti per le pulizie, con la possibilità di guadagnare qualcosa e di occupare il tempo. È una soluzione ottimale per chi ha bisogno di qualche soldo per poter organizzare uno spostamento: questo rimane pur sempre un luogo di passaggio per loro, ma è fondamentale per riprendersi un attimo dopo essere scappati».

Valerio Mazzucchi
22 anni
«Il clima è tranquillo ma si percepisce che c’è difficoltà, che arrivano da una situazione difficile e che cercano di andare avanti per come possono. Non è comunque quello che si vede ad esempio nei telegiornali italiani. Da qui la sensazione è completamente diversa: sorridono, ma sono appena scappati da un luogo che li avrebbe portati a scegliere fra la vita e la morte. La funzione di un centro di seconda accoglienza come questo è molto importante in zone che sono diventate di guerra, anche se non si vede: rispetto alle strutture al confine, quelle davvero in prima linea, stiamo assistendo a dinamiche differenti da quelle che qualcuno potrebbe pensare dall’Italia. Si cerca di andare avanti, ma c’è anche chi prova a tornarci in Ucraina: ho conosciuto un profugo italiano che voleva tornare a Odessa perché è sposato con un’autoctona. Questo diventa un luogo strategico e importantissimo per gli spostamenti, l’accoglienza e i successivi viaggi dei profughi».

Guerra in Ucraina, il viaggio dei volontari: da Orio a Chisinau, via Iasi

Fino al 21 marzo scorso era impossibile volare in Moldavia: lo spazio aereo nazionale per aeromobili civili e statali è rimasto chiuso per evitare qualunque tipo di interferenza con le operazioni militari di Russia e Ucraina. Oggi in Moldavia lo spazio aereo è parzialmente riaperto, consentendo la ripresa del trasporto passeggeri, ma gli standard di sicurezza sono ancora insufficienti. Per questo Luca e Valerio Mazzucchi, con Giulia Api, sono partiti domenica 17 aprile dall’aeroporto di Bergamo Orio al Serio e sono atterrati a Iasi, in Romania.

Vicino al confine, ma dentro l’Unione Europea: la Moldavia, infatti, ex colonia dell’Unione Sovietica, è un paese indipendente solamente dal 1992, data in cui è entrata a far parte della NATO. Da Iasi i tre milanesi hanno affrontato tre ore di macchina per arrivare a Chisinau, in Moldavia: nel tragitto sono rimasti stupiti dallo stato delle strade, totalmente dissestate e senza manutenzione. Rispetto all’Italia, in Moldavia c’è un’ora di fuso orario in più e la lingua riconosciuta è il romeno, anche se il russo è diffuso praticamente ovunque.

La religione principale è quella ortodossa, ma l’integrazione con le altre comunità è positiva: proprio per questo oramai più di quindici anni fa è stato possibile costruire la casa salesiana “Don Bosco” a Chisinau. La valuta principale è il leu moldavo, ma non sono molti quelli che possono permettersi spese importanti: lo stipendio mensile medio è di duecento euro.

Guerra in Ucraina, cosa fa la casa “Don Bosco” di Chisinau

Nato nel 2005 come struttura per giovani e adolescenti moldavi, da due mesi il centro “Don Bosco” di Chisinau è diventato una casa di seconda accoglienza per profughi che scappano dalla guerra in Ucraina. Il direttore della struttura è don Andrea Ballan: è considerato il «tuttofare» della casa, anche per quanto riguarda le questioni burocratiche. Il responsabile, invece, è don Sergio Bergamin: «Un santo, una persona spettacolare, gioca con noi e con loro: è la colonna della casa», raccontano i tre giovani milanesi in viaggio.

I Salesiani, da anni presenti in Moldavia con numerose attività educative e formative, in queste settimane di guerra sono a fianco della popolazione ucraina portando aiuti, sostegno e conforto a chi scappa. L’obiettivo della casa è quello di offrire spazi sicuri e un alloggio confortevole per coloro che si sono rifugiati nella struttura, soprattutto per proteggere i bambini e le persone più vulnerabili. La giornata tipica di un profugo viene descritta in maniera piuttosto rilassante, senza grossi stress: i giovani che andavano a scuola continuano a studiare in didattica a distanza, i più grandi passano praticamente tutto il tempo al cellulare. Fra loro ci sono anche profughi che proveranno ad arrivare in Italia: «Abbiamo parlato con una signora che da Chisinau vuole arrivare a Salerno e una coppia di signori che vorrebbe raggiungere Israele perché lì hanno i loro amici», concludono i ragazzi.

Milano e i Salesiani, un legame fortissimo: si moltiplicano le iniziative pro Ucraina del Comune

Fra le tantissime iniziative che si registrano a Milano per offrire supporto e aiuti umanitari alla popolazione ucraina, c’è anche il contributo dei Salesiani che a Milano hanno sede nell’Istituto Sant’Ambrogio Opera Don Bosco in via Copernico, vicino alla Stazione Centrale. Luca e Valerio Mazzucchi e Giulia Api sono cresciuti nell’ambiente dell’oratorio di Arese e il legame fra le due comunità è molto stretto: proprio dall’esperienza svolta nel mese di marzo da altri Salesiani, nello specifico dell’oratorio di San Donà di Piave in provincia di Venezia, è arrivata l’idea e la proposta per i tre milanesi.

Intanto a Palazzo Marino si moltiplicano le attività per sostenere il popolo ucraino: in collaborazione con Fondazione di Comunità Milano ONLUS, è sempre aperto il fondo #MilanoAiutaUcraina finalizzato alla raccolta di donazioni; è stato recentemente attivato anche un centralino telefonico al numero 020205, interamente in lingua ucraina, per facilitare i servizi di accoglienza e garantire il sostegno necessario per agevolare l’eventuale ospitalità nel proprio alloggio di parenti e amici in fuga dal conflitto, oltre che informare sui servizi sociali messi a disposizione dal Comune. Comune, infine, che ha messo a disposizione fino a 200 posti in strutture di prima accoglienza per ospitare i profughi in fuga dalla guerra, tramite un accordo di collaborazione con la Prefettura.

In breve

FantaMunicipio #27: quanto ci fa bene l’associazionismo cittadino

Pranzi, musica, poesia, arte, intrattenimento, questionari, flash mob e murales: tutto all'insegna dell'associazionismo cittadino e delle comunità che popolano...