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19. 04. 2024 07:01

Fatti per capire, al Museo della Scienza con Barbara Gallavotti: «L’unica cosa che non si può raccontare è quella che non si è capita»

La giornalista e divulgatrice racconta Fatti per capire, il nuovo progetto del Museo della Scienza per «far crescere la cittadinanza scientifica»

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Dopo essersi fatta le ossa come autrice di Ulisse e Superquark, abbiamo imparato a conoscerla in Tv a Di Martedì e Quinta dimensione, da lei condotta lo scorso anno su Rai 3. Barbara Gallavotti sa catturare l’attenzione con il suo entusiasmo per la scienza e la capacità di divulgare in modo semplice temi complessi. La giornalista è l’ideatrice di Fatti per capire, progetto lanciato dal Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano per «far crescere la cittadinanza scientifica», fornendo a esperti di comunicazione e persone comuni informazioni utili a prendere decisioni consapevoli su argomenti come la tutela della salute e i cambiamenti climatici.

Fatti per capire è la prima delle iniziative che il museo proporrà in occasione del suo settantesimo compleanno, che cadrà il 15 febbraio. Si tratta di una nuova sezione del sito del museo dove vengono pubblicate ricerche su temi di pubblico interesse. Il primo contenuto riguarda le auto elettriche, con punti di vista di scienziati ed esperti, dati e grafici.

Fatti per capire, il nuovo progetto del Museo della Scienza con Barbara Gallavotti

Quando è nato il progetto Fatti per capire?
«Noi ci ispiriamo al Science Media Center, istituzione britannica nata nel 2002 per collaborare con i media per veicolare in modo corretto le informazioni scientifiche, che contribuisce a questo progetto. È da allora che pensavo servisse questo strumento».

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Gli anni della pandemia sono stati decisivi per riflettere sul ruolo della divulgazione scientifica?
«Sì. Nel 2020 lavoravo già per il museo e nell’emergenza abbiamo capito che si poteva continuare a svolgere un ruolo utile alla società anche a distanza, proponendo contenuti online sia sull’offerta del museo che video utili a orientarsi su ciò che stava accadendo in quel momento. Così ci siamo resi conto che qui esisteva già una struttura, risorse umane con competenze complesse e articolate difficili da trovare altrove, per portare avanti Fatti per capire, mantenendo il suo ruolo di imparzialità: il museo non racconta le sue ricerche, ma è in grado di presentare ciò che avviene nella scienza».

Come si fa a semplificare temi complessi per poi divulgarli a più persone possibili?
«Credo che chi fa il mio lavoro non debba conoscere tutti i temi di cui parla, ma debba avere la capacità di fare al ricercatore le domande giuste. Così riesco a capire gli elementi importanti di ciò che va raccontato e, una volta che li ho compresi, posso selezionare quelli di interesse per il pubblico. L’unica cosa che non si può raccontare è quella che non si è capita».

barbara gallavotti

Perché avete deciso di partire dalle auto elettriche?
«Proponiamo due tipi di approfondimento. Uno è legato alla stretta attualità: se emerge una nuova scoperta scientifica o se si verifica un importante evento naturale, affrontiamo gli argomenti nel giro di poco tempo. L’altro riguarda temi al centro del dibattito sul lungo periodo. Ne abbiamo selezionata una rosa. Con l’aiuto di due giovani appassionati di scienza è stato creato un “focus group” di circa 150 persone che ha scelto il tema delle auto elettriche».

Come si articolerà poi il progetto?
«Sul sito ci sarà anche un approfondimento sulla comunicazione: l’idea è non solo di avvicinare i media al mondo della scienza, ma anche gli scienziati ai media. Organizzeremo anche incontri dal vivo per il pubblico».

Qual è la parte del museo che la affascina di più?
«Ho un’attrazione irrefrenabile per il padiglione ferroviario (ride, ndr). Mi piace molto anche l’area cibo e Tinkering, il laboratorio dove si riproducono reazioni a catena, circuiti e altro usando liberamente la propria creatività. In realtà è una scelta molto difficile, dipende molto anche dall’umore della giornata».

Da torinese, qual è il suo rapporto con Milano?
«Milano ha questa concretezza e velocità di realizzazione delle cose che è qualcosa di molto prezioso, soprattutto per chi fa il mio lavoro. Qui si accentrano persone di provenienza e competenza molto diverse, aspetto che la rende un ambiente estremamente stimolante. Io forse ho una visione un po’ distorta: di Milano ho frequentato soprattutto questo museo, che dal punto di vista di chi fa il mio lavoro è come un castello di formaggio per un topo… È difficile trovare un luogo di maggiore soddisfazione».

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