Ghali è tornato: “Milano, ti amo. Sei nel mio DNA”

Anche Ghali (finalmente) racconta la sua Milano a Mi-Tomorrow: «Non riesco a starci lontano, è la stessa cosa per tutti quelli nati qui». Ma nel suo DNA - titolo dell’album fuori dalla mezzanotte di ieri - c’è anche molto altro

ghali milano dna
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Un album, quindici tracce – disponibili dalla mezzanotte di ieri – che raccontano il nuovo Ghali Amdouni, più semplicemente Ghali, classe 1993 e più milanese di tanti altri. Lui, che Baggio non l’ha mai lasciata: «Ogni volta che vado da qualche parte, dopo un po’ voglio tornare nella mia città. Non riesco a starci lontano, è la stessa cosa per tutti quelli nati a Milano».

 

E nella sua Milano, negli studi Warner di piazza della Repubblica, racconta con grande profondità di una lunga rincorsa – personale ed artistica – che dopo il successo di Cara Italia ha vissuto anche momenti di rallenty, di difficoltà e di «vuoto». Salvo poi ripartire, sempre e comunque. Perché «mi annoio» e «vivo con le mie due anime che non posso mai smettere di alimentare». Domani l’instore in piazza Duomo – appuntamento alle 15.00 in Mondadori -, mentre per i live si dovrà aspettare ancora un po’. Ma sarà qualcosa di inedito: un esibizione più intima e «teatrale» in tre date al Fabrique l’8, il 9 ed il 10 maggio.

Com’è nato il concept di DNA?
«Non lo so, è nato alla fine di questo percorso nuovo per me. Ti dico la verità: l’avrei chiamato Il nuovo album (dopo Album, primo lavoro di inediti del 2017, ndr) poi mi sono accorto che, in realtà, all’interno ci sono tante altre cose di me. Ci sono dei richiami alle mie radici ma non solo, c’è anche quello che mi piace. E anche questo ti entra nel DNA. È il disco che in questo momento mi rappresenta di più».

Ci sono tanti temi a te da sempre molto cari, dalla mamma agli amici.
«Anche perché ho gli stessi amici di sempre, a cui se ne sono aggiungi altri. In certi ambienti si fa fatica a trovare persone di cui ti puoi fidare: nel mio caso è difficile capire chi viene da me e per quale motivo, ma non posso lamentarmi. È chiaro che alcuni se ne sono andati via, ma come è giusto e normale che sia».

E della crew milanese con cui sei cresciuto, chi è rimasto?
«Siamo tutti molto impegnati, partiamo da questo presupposto. Tanti li ho persi di vista, per interessi diversi. Siamo cresciuti, abbiamo preso strade diverse. Non è successo niente di grave: alcuni li ho persi, altri li ho ritrovati. Ad esempio, Tedua: mi piace incontrarlo, passarci del tempo. Anche con Rkomi ho un bel rapporto, con Charlie Charles e Sfera Ebbasta non ci vediamo quasi mai. È un po’ strano, le amicizie tra colleghi sono difficili da spiegare».

Oggi Milano cos’è per te?
«Diciamo che, nonostante il grigio, Milano è mia e la amo tanto. Sono anche meteoropatico e questo non cambia l’amore che ho per questa città. È in crescita, ci si sta bene. È una città europea a tutti gli effetti, il bello di questi tempi è che non si parla più per nazioni ma per città. E Milano è una di queste: è una meta. La musica in Italia è a Milano, quindi ci sono un sacco di nuovi talenti che spuntano fuori ogni giorno. I quartieri sono vivi più che mai, la nuova generazione sta spaccando».

E la tua Cara Italia come la vedi?
«Avrei voluto fare un pezzo titolato Maledetta Italia, però non ho avuto tempo. Forse più avanti avrò la necessità di parlare a quel tipo di persone. Dopo Cara Italia ho capito che le cose non sarebbero cambiate. Chi sta su non capisce».

Avevi fatto anche un remix, facendo riferimento al figlio di Salvini…
«Sì, ma infatti Salvini sta mettendo il figlio nei casini».

Come hai visto e vissuto la questione della censura a Sanremo?
«Non possiamo lamentarci più di tanto, vai a presentare il tuo progetto e devi accettare la realtà e le domande che fanno. È normale che succeda questo, come avviene in tv ma anche in casa. Credo sia una cosa che con il tempo sarà sempre più comprensibile».

Come si fa artisticamente a parlare ad un pubblico così ampio?
«Lo farò sempre, sono una persona che si annoia quindi, quando trovo le soluzioni, mi… annoio ancora (ride, ndr). Mi ingarbuglio per trovare altre soluzioni. Sono in una continua gara con me stesso, non andrei a gareggiare a Sanremo per questo».

Si spiegano così, forse, le tante anime del tuo disco.
«In effetti c’è Ghali che dice che ha la casa grande come i preti, ma c’è anche un Ghali più umile. C’è anche una parte di produzione internazionale, con una parte afro, nordeuropea, ma anche del cantautorato italiano. Ci sono lati sdolcinati, ma anche una parte più arrabbiata».

Un po’ come quando hai lanciato in contemporanea Hasta la vista e Turbococco.
«Volevo preparare il mio pubblico, volevo anticipare la mia doppia anima. Non riesco a non accontentarli».

Sei proprio a metà?
«Sono veramente nella metà assoluta. Ci sono delle volte in cui mi siedo con i miei amici ed escono fuori dei bei messaggi, parlando di argomenti seri. Altre volte non abbiamo voglia di messaggi ma solo la voglia di divertirci. Questo mi succede anche nella musica: provo a lanciare messaggi perché li sento, mentre altre volte scrivo di sensazioni anche solo con una nota messa bene».

Com’è nata l’idea della maschera?
«Questo disco ha lasciato spazio anche alla creatività di altre persone, ho scoperto dei nuovi modi di lavorare. Ho iniziato a collaborare con tantissimi produttori diversi, sono stato influenzato da tutte le parti. Sono in una fase della mia carriera in cui ho bisogno di esternare ed esprimere tanto. Voglio raccontare cose che non ho raccontato, mettere i puntini sulle “i” su alcuni argomenti e questo si sente nel disco. La mia indole è in questo album e con il disco ho cercato di aumentare la realtà. Succede nel disco, ma anche nei concerti qui a Milano».

Che periodo è della tua vita?
«Ad oggi posso dire di aver raggiunto ciò che non mi sarei mai immaginato. Ho fatto smettere di lavorare mia mamma, lo fa con me. Ho i miei amici e la mia famiglia accanto, ho comprato una casa nuova. Ho la possibilità di viaggiare, mi sento fortunato in una situazione di prestigio. Ho avuto tutto, cioè: ho tutto. In DNA parlo del successo che è una droga, nonostante uno cerchi di stare con i piedi per terra. Essere sempre coccolato da tutti, con la gente che grida il tuo nome: a volte è difficile restare distaccati, questo intacca la tua persona. Ci sono stati dei momenti in cui ho percepito la perdita della via maestra. L’unica cosa che mi fa star bene è fare questo: mi sta confermando ciò che voglio dalla mia vita».

Che effetto ti ha fatto essere lodato sulle pagine del New York Times?
«Mi hanno fatto più effetto cose che sono successe in Italia».

Ad esempio?
«Sanremo mi ha fatto molto più effetto, anche perché l’ho vissuto fisicamente. Sono contento perché l’internazionalizzazione fa parte del disegno che ho in testa».

La tua musica è inclusiva. Non è mai rivolta a un solo target.
«È un po’ come i libri di religione, che spiegano le cose che possono essere interpretate sia da un bambino che da un vecchio saggio. Cerco di raccontare, trovare il minimo comune multiplo tra tutti e raggiungere un compromesso con la leggerezza».

Ora i giovani vivono più della musica che ascoltano, con le strutture che passano in secondo piano. È così?
«Ma questo succede da sempre. Quando John Lennon scrisse Imagine, il tasso di criminalità si abbassò drasticamente, se non ricordo di aver letto male. In questo momento ci sono altri mezzi di comunicazione che stanno facendo guerra alla musica».

Quali?
«Ai tempi di Lennon non c’era questo psicoterrorismo che fa concorrenza alla musica. Ci fosse solo la musica, si noterebbero molti più cambiamenti. Ma ci sono anche i social network, c’è l’ostentare che prima non interessava a nessuno. È aumentata l’insicurezza e si cerca di trovare la strada più facile».

Ovvero?
«Quando non c’erano Facebook o YouTube, facevo le gare di freestyle per avere l’attenzione della gente. Ora basta postare una foto, la gente è appagata dai like che riceve. Non c’è solo la musica, stiamo seguendo dei canoni che altri impongono».

Tu sei più sicuro o insicuro?
«Ho fatto della diversità la mia forza, le mie diversità resteranno per sempre. Ci sono anche altre persone come me e che io rispecchio: è giusto che io sia fiero di queste diversità».

Nel disco c’è anche la tua prima canzone d’amore, non dedicata a tua mamma.
«È un amore tra due persone con un certo stile di vita, ci sono delle situazioni complicate che ho spiegato nel brano. Parlo di tante cose, tra lavoro e amore. Parlo di voli, di aerei, di lavori che si cancellano se uno manca all’altro: si sente che è una storia tra due persone che fanno un lavoro di questo tipo…».

Una spiegazione che dice e non dice…
«Ma infatti io non credo alle mie interviste».

«Sono anche meteoropatico, ma questo non cambia l’amore che ho per Milano. È in crescita, ci si sta bene. È una città europea a tutti gli effetti, il bello di questi tempi è che non si parla più per nazioni ma per città. E Milano è una di queste: è una meta»

Domani alle 15.00 
Instore c/o Mondadori
Piazza Duomo, 1 Milano
Ingresso libero con pass

8-9-10 maggio alle 21.00
Live c/o Fabrique
Via Fantoli, 9 Milano
Biglietti da 39 euro su ticketone.it e ticketmaster.it

 

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