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19. 04. 2024 10:43

Giulia Tramontano, intervista a Chiara Sainaghi (Fondazione Somaschi): «Perché è possibile recuperare gli uomini violenti»

Parla la responsabile dei centri antiviolenza: «C'è una dimensione culturale in cui la disparità di potere, di opportunità, di ruoli di genere stereotipati è un dato di fatto»

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Chi sta in prima linea, come la responsabile del centro contro le violenze della Fondazione Somaschi Chiara Sainaghi, può meglio di altri raccontare e spiegare come si sviluppa e quale rimedio costruire contro la violenza sulle donne dopo quanto accaduto a Giulia Tramontano.

Caso Giulia Tramontano, intervista a Chiara Sainaghi

Da quanto tempo svolge questo incarico?
«Dal 2016, ma l’impegno nella Fondazione è arrivato prima».

Quale tipo di sostegno offrite alle donne vittime di violenza?
«Abbiamo le case rifugio, appartamenti dove ospitiamo le donne con i loro figli».

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Quante si trovano da voi?
«Ogni anno almeno 50, ai quali si devono aggiungere i figli».

Quanto dura la loro permanenza?
«Dipende dal percorso che intraprendono, per alcune è un momento di passaggio per organizzarsi, per altre il tempo è più lungo soprattutto se ci sono figli. Diciamo che in media restano un anno».

Si può tracciare un identikit delle donne che ospitate?
«Sono in prevalenza italiane, per il resto è difficile farlo perché la violenza è trasversale: età, titolo di studio, capacità economiche possono variare molto».

Le donne straniere sono poche.
«E’ solo perché non hanno conoscenza di questo servizio».

Quante donne si rivolgono ai centri antiviolenza?
«Il 5% di chi la subisce: teniamo presente che circa una donna su tre può essere stata vittima».

In cosa consiste il percorso nelle case rifugio?
«E’ un supporto psicologico che consente alle donne di uscire dalla violenza e di progettare il futuro superando la paura».

Quali risultati ottenete?
«Facciamo un lavoro con altri soggetti del territorio, come la Asl e l’Agenzia Territoriale dell’abitare, che porta al reinserimento della donne nella società».

Non vi occupate solo di donne offese ma anche di chi le offende.
«Dal 2018 abbiamo iniziato a superare il concetto della casa rifugio per occuparci degli autori delle violenze, avviando percorsi di recupero per loro».

Come si fa a recuperare un uomo violento?
«Gli uomini vengono accompagnati da esperti in un processo che mira a fare avvertire le loro responsabilità».

Sono percorsi che si svolgono in gruppo?
«Esistono anche quelli individuali».

Si tratta di persone che hanno già commesso violenze?
«Ci sono persone che si avvicinano prima di essere denunciate».

Questi percorsi si possono considerare terapie?
«No, è fuorviante considerarle così perché un uomo violento non è un malato: a volte possono abusare di qualche sostanza ma sono solo effetti collaterali».

Milano è una città moderna, tollerante, come si spiega questa violenza?
«Spesso è l’effetto di uno squilibrio di potere tra uomo e donna, l’uomo pretende il controllo delle donna, la considera una sua proprietà, non ne rispetta la volontà: c’è una dimensione culturale in cui la disparità di potere, di opportunità, di ruoli di genere stereotipat,i è un dato di fatto».

Oltre alla repressione come si può intervenire su questo fenomeno?
«Partendo dagli aspetti culturali in cui tutti viviamo. Bisogna partire dall’educazione e agire su chi è vittima tenendo sempre presente una dimensione culturale».

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