La mafia albanese conquista Milano

mafia albanese

Rispetto, lealtà e famiglia. E poi fiumi di droga, armi sofisticate, abilissimi ladri e giovani schiave. I padrini di Tirana in Lombardia fanno affari d’oro e Milano è la loro piazza migliore. Qui la mafia albanese – considerata dalla polizia internazionale l’organizzazione criminale attualmente più potente in Europa – ha il suo quartier generale e il suo scalo principale. Sulle strade del capoluogo lombardo, ogni giorno, si riversano le tonnellate di eroina che i boss albanesi fanno arrivare dalla rotta balcanica.

Nei viali periferici i clan vendono le loro giovanissime prostituite – quasi tutte rumene o moldave – fatte arrivare in Italia con la promessa di una vita migliore e poi rinchiuse in cascinali che assomigliano a stalle. Da Tirana e dai piccoli paesi affacciati sulla costa, poi, ogni giorno si riversa manovalanza criminale impiegata nelle rapine e nei furti in appartamento: criminali addestrati a beffare la legge con le tecnologie più sofisticate. I padrini non dimenticano mai le origini: osservano ancora il kanun, codice della malavita albanese ormai millenario, che ordina di onorare la lealtà fra “fratelli” e prevede l’omicidio come legittima vendetta per la morte di un familiare. Per questo, chi ha un conto aperto con loro, è costretto a nascondersi per tutta la vita.

EROINA DAI BALCANI • Dietro lo spaventoso ritorno dell’eroina nelle nostre strade – e le conseguenti overdose fra giovanissimi – ci sono, infatti, proprio loro: i nuovi signori della droga venuti da Durazzo e da Tirana, che negli ultimi anni hanno scalzato i boss calabresi e siciliani per trasformare Milano in un hub dell’eroina. E non solo per il Nord Italia, ma anche per la Svizzera. Qui in Lombardia i padrini albanesi si sono spinti ancora più in là: sono riusciti a costruire persino gli impianti di lavorazione. Un segnale – secondo gli inquirenti che si stanno occupando di questo fenomeno emergente – che dimostra quanto i clan albanesi si sentano ormai padroni del territorio.

Attraverso i gommoni, i boss riescono inoltre a far arrivare in Puglia e quindi in Lombardia quintali di marijuana, che viene coltivata quasi alla luce del sole nell’entroterra albanese. Di recente, la Procura di Milano con l’operazione Aquila Nera ha portato alla luce uno scenario inquietante. In particolare, le attività delle forze dell’ordine si concentrano su un personaggio di spicco: Fatos Bakaj, ribattezzato “Piro”, che in Italia ha trovato la sua patria d’adozione da oltre vent’anni, dall’epoca degli sbarchi di massa con le navi nel porto di Bari. Nel 2004 a Roma è stato fermato e portato in prigione: dopo un permesso premio dal carcere di Modena è scomparso nel nulla ed è tornato a delinquere. Nel 2011 la Procura di Milano lo ha indagato di nuovo e l’anno successivo la polizia albanese lo ha catturato a Durazzo. Dal 2013 si trova in carcere a Saluzzo. Ma dalla cella – gli inquirenti ne sono certi – continua a essere il capofila dei trafficanti in Lombardia.

GIOVANI SCHIAVE • L’altro redditizio business dei padrini albanesi è la tratta di esseri umani. Se una volta i padrini albanesi preferivano mettere in strada le loro connazionali, ora i clan puntano sulle rumene e le moldave. Quasi sempre giovanissime, spesso minorenni, scelgono di avviare alla prostituzione donne che non parlano né l’italiano né l’albanese. «Questo dà loro un vantaggio anche psicologico sulle ragazze – spiega un investigatore – perché non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto e sono completamente isolate». La tratta di schiave resta il core business di questa potente piovra straniera. Da recenti indagini portate avanti dalla Squadra Mobile di Milano è emerso che ogni ragazza sfruttata dalla mafia albanese portava alle casse dell’organizzazione circa 12mila euro al mese.

ABILISSIMI LADRI • Dai paesi che si affacciano sulla costa, poi, arriva continuamente manovalanza che viene impiegata nei reati predatori. Praticamente scomparse le violente rapine in villa, ora i criminali albanesi nel Nord Italia preferiscono dedicarsi ai furti in abitazione, portati a segno con tecnologia sofisticata. Agiscono in piccoli gruppi “militarizzati” e quasi sempre i membri della banda sono legati da vincoli di sangue che rendono il sodalizio criminale ancora più forte e impenetrabile. A Milano, l’ultima grossa indagine che ha portato all’arresto di un’intera banda di ladri risale a pochi mesi fa. I magistrati hanno scoperto che gli aspiranti “topi d’appartamento” venivano reclutati in Albania con un’allettante promessa: «Vieni in Italia, diventi ricco, ti fai 24 ore di galera e poi sei già fuori».

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L’INCONTRO

«Così svaligiano le vostre case»

Per introdursi nelle case dei milanesi – contrariamente a quanto si possa credere – non aspettano quasi mai che cali la notte. Preferiscono i pomeriggi, mentre la gente è ancora a lavorare, oppure riescono a forzare la serratura in meno di mezz’ora mentre il proprietario è uscito per fare la spesa. Tengono d’occhio i social network, da dove attraverso finti profili prendono di mira le loro prede. Persone che, inconsapevolmente, esibiscono le proprie foto durante una vacanza o che si “taggano” mentre sono in palestra. In questo modo, i re dei furti, hanno la certezza di trovare la loro casa vuota.

TECNOLOGICI • I militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Novara guidati dal tenente colonnello Sandro Colongo, sui “topi d’appartamento” venuti dall’Est potrebbero scrivere un vero e proprio trattato. Da anni un’intera sezione di investigatori si occupa quasi esclusivamente di loro: ladri di professione che portano a segno colpi nel Milanese e che hanno nella zona di Novara le loro basi logistiche.

Fuoriclasse del furto che si appoggiano a una vastissima rete di ricettatori – spesso di etnia sinti – in grado di tramutare in contanti gli oggetti preziosi trafugati. «Sempre più spesso – spiega il colonnello – si tratta di ladri di origini albanesi che possono contare sulla tecnologia più avanzata». L’equipaggiamento di questi ladri, in effetti, è impressionante. Ultimamente gli inquirenti hanno per esempio scoperto che i malviventi preparano il terreno attraverso i “jammer”, disturbatori di frequenze di impiego militare che mandano in tilt gli allarmi e impediscono ai telefoni di ricevere o trasmettere onde radio. Per comunicare, non usano i telefoni cellulari ma potenti ricetrasmittenti.

STILE DI VITA • «Conducono uno stile di vita tranquillo e defilato – spiegano i carabinieri – e dedicano particolare attenzione alla forma fisica: devono essere veloci e scattanti». I topi d’appartamento, poi, si distinguono anche per le modalità con le quali si introducono nelle case: «Contrariamente ai ladri georgiani che scassinano le serrature senza lasciare tracce, gli albanesi tendono a essere più grossolani. Spesso usano piedi di porco o altri strumenti pesanti». La refurtiva, con loro, ha vita breve: non possono custodirla più di 12 ore. Se ne sbarazzano in fretta e poi tornano subito a delinquere.