Ripensare il delivery: a Milano si può, è rivoluzione dei rider

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Nonostante la situazione resti difficile per molti lavoratori, si intravvedono i primi segnali di miglioramento per i rider, i fattorini che consegnano a casa il cibo ordinato sulle piattaforme delivery. Anche in questo caso è a Milano che si colgono le novità che potrebbero poi diventare tendenza valida per tutte le altre città.

L’esempio di You Cook, una start up innovativa, potrebbe fare da scuola: «Conosco altre aziende in città che utilizzano dipendenti per le consegne – afferma Alessio Gallotta che segue per la Cgil il settore dei rider -, sicuramente Milano è molto importante perché è un centro sviluppato e qui si formano i cambiamenti».

Secondo i dati a disposizione del sindacato sono circa duemila le persone impegnate nel trasporto delle merci nell’area cittadina. Difficile tracciare un identikit, non tutti sono giovani studenti che cercano di sostenersi, ci sono anche persone di mezza età che magari hanno perso il lavoro.

Per quanto riguarda la nazionalità, non tutti sono italiani, ci sono molto stranieri, c’è chi lavora con continuità e chi lo fa part time. Anche sui compensi le situazioni sono variabili, con un impegno costante si possono mettere insieme anche 800-1.000 euro.

A parte il caso di You Cook e di qualche altra azienda, la regola è che il pagamento avviene in base al numero delle consegne, per intenderci a cottimo. Un punto su cui il sindacato sta svolgendo una battaglia: «Le aziende sostengono che non possono mantenere i dipendenti, il problema è che finché i prezzi di una consegna sono di pochi euro sarà difficile modificare questo atteggiamento – continua Gallotta -. Resta il punto che nel settore della gig economy operano colossi internazionali che non possono continuare questo tipo di rapporto di lavoro».

Anche per Dario Balotta, presidente Nazionale dell’Osservatorio dei Trasporti, le cose stanno migliorando ma resta molto da fare: «Il contratto nazionale è stato un passo avanti, ora il problema è verificare la sua esecuzione che si può fare con due strade: o tramite i sindacati o attraverso la costituzione di un loro sindacato. Quest’ultima possibilità non è facile perché esiste una forte diffidenza nei confronti delle organizzazioni sindacali, ma questo è il momento per rompere i meccanismi corporativi».

Per Balotta, insomma, la strada ideale sarebbe una presa di coscienza dei rider che li porti ad autorganizzarsi: «Dovrebbero autogestirsi, loro meglio di chiunque altro sanno se l’azienda si comporta in modo corretto su Inail, mutua e tutto ciò che riguarda il rapporto di lavoro».

I FATTORINI IN CITTA’

2.000,
La stima dei rider presenti a Milano

800-1.000 euro,
La paga media mensile di un fattorino

39 ore,
L’orario previsto dal nuovo contratto nazionale

(Fonte: Cgil)

L’INTERVISTA

«Da noi remunerazioni fisse»
Renzullo (You Cook): «Lavorano anche videomaker e professionisti»
Ha 25 anni, è ceo e fondatore di “You Cook”, una start up innovativa di food delivery che potrebbe passare alla storia per avere rivoluzionato il lavoro dei rider. Francesco Renzullo, laureato in economia, un master a Londra, racconta a Mi Tomorrow cosa significa fare innovazione nella Milano del 2019.

Quando è nata You Cook?
«Nel febbraio del 2018, ci stavo pensando già quando vivevo a Londra. Inizialmente il progetto era diverso, prevedeva una piattaforma con cuochi che cucinavano da casa».

Perché avete cambiato?
«Avevamo difficoltà di mercato. Ci siamo allora rivolti a chef di alta gamma, a pasticcerie di lusso che non possono affidarsi ai food delivery tradizionali».

Com’è nata l’idea di realizzare una start up proprio di food delivery?
«Ascoltando amici, persone che lavorano nel mondo della ristorazione che ci dicevano che mancava un servizio di eccellenza per il food delivery».

Che differenze ci sono tra i vostri rider e quelli tradizionali?
«Quelli tradizionali prendono tanti ordini e poi si trovano in difficoltà a gestirli, noi diamo gli ordini in anticipo in modo che il cibo venga consegnato anche qualche minuto prima del previsto. Inoltre c’è la possibilità di ovviare agli imprevisti».

Cosa succede se il cliente all’ultimo minuto non può ricevere l’ordinazione?
«In questo caso il rider chiama lo chef e gli chiede se può trattenere per un po’ di tempo il piatto».

I vostri rider non hanno l’assillo delle consegne?
«No, hanno una remunerazione fissa».

Siete l’unico caso in Italia?
«Ho scoperto che ce n’è un altro nel Sud, a parte questo credo che siamo gli unici in Italia e nel mondo».

Quanto lavorano i vostri rider?
«Non tutto il giorno, svolgono anche altre competenze».

Per esempio?
«Fanno altre attività come la fotografia, seguono i social media e fanno video making».

Quindi metà giornata fanno consegne e nell’altra si occupano della comunicazione?
«Sì. Rappresentano un valore aggiunto perché loro sanno qual è il valore del cibo: con la loro attività sono partecipi del progetto e si sentono indispensabili diventando brand ambassador dell’azienda».

Altre differenze con gli altri rider?
«Hanno la cargobike aziendale, quando finiscono il lavoro riportano il mezzo in azienda, inoltre sono assicurati».

Quanti sono i soci di You Cook?
«Sei ma stanno per entrarne altri quattro».

E i rider?
«Effettivi sono due, ma bisogna tenere presente che anche i sei soci fanno le consegne».

Anche lei?
«Certo, mi aiuta a conoscere meglio l’attività».

L’età media in You Cook?
«Sui 33-34 anni».

Come assumete i rider?
«Facciamo un colloquio per capire se c’è la compatibilità con questo lavoro, vediamo se sono in grado di entrare in rapporto con i clienti, gli chef e se sono capaci di gestire problematiche che si possono presentare nelle consegne».

Le grandi aziende di delivery sostengono che sono costrette a pagare a consegna altrimenti non reggerebbero i costi. Voi come fate?
«Il tipo di servizio che offriamo ci consente di chiedere un prezzo più alto, giustificato dalla precisione e sicurezza nelle consegne. Tra gli elementi del servizio ricordo che oltre alla elevata qualità del cibo la scatola del trasporto è compostabile: tutto è biodegradabile e va quindi gettato nella raccolta organica».

Progetti per il futuro?
«Stiamo lavorando a Milano, questa estate vogliamo provare su alcune spiagge. Poi stiamo pensando di aprire attività all’estero, a Londra e Parigi, in Italia a Firenze, Roma, Venezia e Torino».

E sul prodotto?
«C’è l’idea di coinvolgere gli chef stellati, inoltre vorremmo migliorare il design dei contenitori».

Com’è fare business a Milano?
«Non è facile, ci vogliono idee ma questa è una piazza calda, è un posto assolutamente propizio per fare business: Milano è una città in cui oggi bisogna esserci».

Cosa dice la nuova normativa

Dal punto di vista giuridico negli ultimi tempi per i rider si sono fatti passi avanti. Lo scorso luglio è arrivato il riconoscimento contrattuale peraltro già previsto, ma solo adesso articolato, nel contratto nazionale di lavoro della logistica, trasporti merci e spedizioni.

Il contratto nazionale prevede tutte le tutele, salariali, assicurative, previdenziali, tipiche del rapporto subordinato e quelle contrattuali come assistenza sanitaria integrativa e bilateralità.

I rider sono inquadrati con parametri retributivi creati appositamente: l’orario di lavoro è flessibile e può essere sia full time che part time, con 39 ore settimanali distribuibili in massimo 6 giorni a settimana e con un minimo giornaliero di 2 ore e fino a un massimo di 8, con la possibilità di coniugare la distribuzione urbana delle merci con il lavoro in magazzino.

Sono previsti importanti obblighi per i datori di lavoro. Sono a loro carico i Dpi (Dispositivi di protezione individuale), come caschi e pettorine catarifrangenti. Inoltre è stata istituita la contrattazione di secondo livello. Secondo i sindacati il contratto nazionale stabilisce che i rider sono lavoratori subordinati e non autonomi, come è venuto fuori in modo errato da qualche decisione di tribunale.

I lavoratori, quindi, non possono scegliere se e quando fare una consegna, e quindi è necessario che abbiano i diritti dei lavoratori subordinati, seppur con ampi margini di flessibilità. Questo almeno sulla carta.

Secondo le stime della Uil Emilia Romagna sarebbero oltre 10mila i rider in Italia che lavorano per le piattaforme di food delivery. I lavoratori che dipendono da una piattaforma online, secondo i dati Inps riportati dalla Uil, sarebbero un milione di cui il 10% sarebbero rider e gli altri sono idraulici, traduttori e baby sitter.

Per una cena da 30 euro consegnata a casa, 21 euro finiscono al ristoratore e gli altri 9 alla piattaforma di cui 3,6 euro netti al rider, 4 euro per il marketing e la gestione ed un 1 euro alla società di food delivery.

Anche la tv insegna
Gli alimenti riportati in auge e “gettonati”

Piero Cressoni

La tv ha contribuito negli anni a lanciare il cibo del futuro: alimenti di cui la maggior parte dei consumatori ignoravano l’esistenza. MasterChef Italia, tanto per dire, ci ha fatto scoprire il filetto di Vicciola (un bovino che si alimenta di sole nocciole, allevato in Piemonte), ma anche il caviale di lumaca (nato da un’idea di giovani agricoltori siciliani).

I grandi chef hanno importato in Italia il plancton di mare per guarnire risotti e altre pietanze oppure il cetriolo di mare, protagonista in una prova dell’ultima edizione del più famoso talent-show di cucina.

Eppure il connubio chef-tv ha contribuito a far riscoprire ingredienti “dimenticati”, con una conseguente crescita della domanda di prodotti che fino a poco tempo fa non comparivano sulle tavole. La riqualificazione dei mercati comunali e la rinnovata vivacità dei negozi di quartiere (con tanto di consegne a domicilio) va in questa direzione.

Eataly Smeraldo, a Milano, ha fatto scuola: dal cavolo viola al sedano rapa, dal topinambur alle erbe aromatiche più insolite, l’ispirazione non manca. E che dire di quinoa, bulgur, amaranto che pian piano sono entrati nelle abitudini alimentari dei pranzi e delle cene dei milanesi, affezionati storicamente solo ai chicchi di riso.

Non tutto è semplice da reperire. Prendiamo la pastinaca, per esempio: un tubero bianco molto simile alla carota, ma più dolce, consumato dagli antichi Romani e che all’estero ha sempre goduto di ottima fama. Oppure il grano Maiorca, coltivato nel Sud Italia, in zona aride, utilizzato per la preparazione di dolci.

E ancora: la melassa nera un liquido marrone scuro, denso, dolcissimo, che può essere utilizzato come dolcificante o spalmato sul pane, o il tempeh, che si ricava dai fagioli di soia gialla fermentati, pronto per essere cucinato alla piastra.

Con il boom delle insalate hawaiane Pokè, infine, c’è l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda le alghe con differenti sapori (dulse, kombu, hijiki, wakame, nori, spirulina), tutte acquistabili nei migliori negozi biologici in città.

Dieci cibi “cool” da ordinare

Cavolo viola

Sedano rapa

Quinoa

Bulgur

Amaranto

Pastinaca

Melassa nera

Tempeh

Alghe

Grano Maiorca


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