Torniamo nelle Rsa: l’emergenza non si placa e si prepara ad affrontare i tribunali

Cronistoria di un’epidemia imperfetta: nuove storie di famiglie che cercano risposte

L’inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio ha scoperchiato un autentico vaso di Pandora sulle morti sospette di centinaia di anziani nelle Rsa milanesi, lombarde e di tutta Italia. Negli ultimi giorni sono finiti nel mirino degli inquirenti anche altri dirigenti dell’istituto, oltre al direttore generale Giuseppe Calicchio, ormai da settimane nell’occhio del ciclone. Secondo le indagini, i primi casi di polmonite all’interno della struttura risalirebbero addirittura a gennaio.

 

 

Torniamo nelle Rsa: l’emergenza non si placa e si prepara ad affrontare i tribunali

di Fabio Implicito

Sono ancora troppe le domande in cerca di una risposta. Qual è il ruolo della Regione in questa vicenda? Perché non sono stati fatti sufficienti controlli? E soprattutto perché è stato dato il via libera al trasferimento dei pazienti Covid nelle Rsa? Ecco perché torniamo a parlarne.

19 marzo

Emerge un documento in cui il Trivulzio avanza diverse richieste alle società operanti nel settore e alla centrale regionale di committenza per ottenere al più presto forniture di dispositivi di sicurezza. Probabilmente i casi di Covid nella casa di riposo sono già esplosi.

4 aprile

Si racconta del licenziamento del professor Luigi Bergamaschini avvenuto il 3 marzo. Il suo allontanamento sembra sia dovuto all’autorizzazione all’uso di maschere chirurgiche per il personale alle sue dipendenze. Lo stesso giorno del licenziamento, la direzione del PAT fa esplicito divieto a medici e paramedici di indossare mascherine. 

6 aprile

La Federazione regionale degli ordini dei medici chirurgici e odontoiatri denuncia la gestione confusa delle Rsa lombarde, causa del contagio e della morte di centinaia di anziani. L’assessore al Welfare Gallera minimizza: «Sono affermazioni che cavalcano l’onda mediatica». 

10 aprile

Gallera annuncia una commissione di inchiesta per fare chiarezza sull’eccessivo numero di morti nelle Rsa. 

11 aprile

Viene inserito nel registro degli indagati Giuseppe Calicchio, direttore generale del Trivulzio. Lo stesso giorno dall’iniziativa di Alessandro Azzoni, figlio di un’anziana ospite del PAT, nasce il “Comitato Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio”. Il video dell’appello è sul nostro canale YouTube.

14 e 15 aprile

La guardia di Finanza fa irruzione nel PAT sequestrando le cartelle cliniche degli ospiti della casa di riposo. Il giorno successivo è la volta della Regione: le Fiamme Gialle acquisiscono tutti i documenti relativi alle disposizioni sulle Rsa. Tra queste, anche la famosa delibera dell’8 marzo in cui si destinavano i posti letti di alcune Rsa ai malati di Covid. 

24 aprile

Nuovi vertici e responsabili del Trivulzio vengono inseriti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo. 

26 aprile

Da alcuni giorni sono in corso audizioni da parte dell’Ats, che sta portando avanti un’indagine interna. I medici della “Baggina” vengono interrogati sugli ingressi dei malati e sul personale dedicato alla loro cura. 

27 aprile

Iniziano i test sierologici sul personale del PAT sotto la supervisione scientifica del professor Fabrizio Pregliasco, che afferma: «Al Pio Albergo Trivulzio ho visto professionisti bravissimi, protocolli che erano stati sin dall’inizio attuati».

Dal PAT. Qui per fisioterapia, muore per Covid

«Troppe bugie, dicevano stesse bene»

Dal PAT
Dal PAT

di Roberto Palmiero

«A questo punto vogliamo sapere il perché di queste bugie». È l’appello di una donna che ha perso il proprio suocero, ricoverato in buone condizioni di salute presso il Pio Albergo Trivulzio per praticare una banale riabilitazione e da cui è uscito in coma, un mese dopo, per dirigersi al Policlinico di Milano dove, dopo poche ore, si è spento. Una storia incredibile, con tanti interrogativi e sospetti. Come racconta proprio la nuora dell’82enne, scomparso l’11 aprile a causa del Covid-19: «Mio suocero aveva avuto un problema al fegato, ma è stato ricoverato al Trivulzio, nel reparto San Vito, semplicemente per riabilitare la spalla».

Quando è stato trasferito?
«Il 10 marzo, pochi giorni prima dello scoppio dello scandalo».

Riuscivate ad avere contatti con lui?
«Ci siamo sentiti solo al momento del trasferimento. Siamo entrati per sistemarlo in stanza. Dopodiché non è stato più possibile effettuare visite. La struttura organizzava delle videochiamate, una ogni settimana. Lui aveva anche un proprio cellulare, ma non si sa per quale motivo non riuscivamo mai a contattarlo lì».

E quando siete entrati nella struttura, il personale indossava i dispositivi di sicurezza?
«No, non c’era nessuno che portava la mascherina».

Come vi sembrava il suo stato di salute?
«All’inizio stava bene. Aveva iniziato anche la riabilitazione, era contento perché iniziava già a vedere qualche miglioramento alla spalla. Dopo cinque giorni, però, è stato tutto sospeso a causa della comparsa dei primi casi di positività».

Quindi avete saputo dei primi positivi nella struttura: vi è stato comunicato dai medici?
«No, purtroppo lo abbiamo scoperto attraverso i giornali. Eravamo all’oscuro di tutto».

E quindi avete pensato di portarlo via dal PAT…
«Sì, dopo la chiusura della palestra non aveva senso tenerlo lì, soprattutto per il pericolo di contagio. Ma ci hanno detto che non era possibile. Ci siamo rivolti alle Forze dell’Ordine, che ci hanno detto di non poter fare nulla, ma che noi non avevamo divieti per andare a prelevarlo».

Quindi siete andati?
«Non era possibile: il Pio Albergo Trivulzio aveva il diritto di isolare il reparto e di non far uscire nessuno. Insomma, un paradosso».

Poi cosa è successo?
«Venerdì 10 aprile riceviamo una videochiamata dalla dottoressa. Indossava tuta, mascherina e guanti. Strano, perché le altre volte non aveva indossato dispositivi di sicurezza. Mi mostra mio suocero, con la maschera dell’ossigeno. Ma ci dice di non preoccuparci, che serviva esclusivamente per facilitarlo nella respirazione dato che aveva qualche linea di febbre. Ci rassicura anche sul fatto che gli esami del sangue e il resto dei parametri sono buoni».

Ma come le sembrava suo suocero?
«Non era vigile. La cosa ci ha insospettito particolarmente».

 E dopo la videochiamata?
«La mattina dopo ci ha richiamato per dirci che mio suocero era stato ricoverato al Policlinico, in stato comatoso. Da lì i dottori dell’ospedale ci hanno confermato la positività al Covid-19, preparandoci al peggio. Le analisi, a differenza di quanto riferitoci il giorno prima, confermavano che i valori erano ormai compromessi. In serata, purtroppo, è deceduto».

Ora state intentando una causa legale, corretto?
«Sì, stiamo procedendo con l’avvocato Santangelo, il legale che sta assistendo il Comitato delle Vittime del Trivulzio. Dovevano chiudere, sono responsabili di omicidio colposo: quello che hanno fatto non è umano».

Dal Corvetto: normative non rispettate e una situazione critica per quanto riguarda i cadaveri. E’ ancora caos nella Rsa Casa dei Coniugi

«Richiamati al lavoro, senza ricevere tamponi»

di Yuri Benaglio

La delibera regionale del 30 marzo parla chiaro: un operatore non può essere richiamato in servizio fatta salva una doppia condizione, la scomparsa della sintomatologia e un doppio tampone negativo nello spazio temporale di 24 ore. A Mi-Tomorrow, però, risultano almeno cinque operatori della Rsa Casa dei Coniugi del Corvetto richiamati – quasi forzatamente – a lavoro. Tanti di loro si sono ritrovati nella medesima condizione: hanno manifestato i primi sintomi influenzali tra marzo e inizio aprile, con quadri clinici poi qualificati come sospetti Covid-19 e infine (eventuali) ulteriori aggravi. Ma di tamponi non c’è mai stata traccia.

Gestione via mail. Risulta anche che la responsabile dell’ufficio del personale, addetta a turni da conciliare e alla gestione dei numerosi certificati di malattia presentati, stia portando avanti il lavoro via mail: lei stessa sarebbe a casa in malattia da più di cinque settimane. È un quadro confusionale, mentre è in atto un costante scaricabarile tra struttura e Regione Lombardia. A tutto questo, si aggiungono le condizioni igieniche in cui gli operatori sono costretti a lavorare: pochi dispositivi in dotazione, peraltro di scarsa qualità ed incapaci, dunque, di poter arginare il contagio. E la situazione sarebbe molto critica anche per quanto riguarda i cadaveri, con una sezione della struttura dotata di cella frigorifera e diversi residenti deceduti che non hanno spazio per essere ricoverati prima di essere affidati ai servizi funebri.

Paura di ritorsioni. Ma nessuno (o quasi) vuole esporsi, perché gli operatori sono giovanissimi, neo assunti o temono addirittura ritorsioni. Regione Lombardia e Ministero competente sono stati messi al corrente formalmente di questa situazione. E si sta valutando un esposto alla Procura, anche se nelle ultimissime ore sono emersi spiragli di speranza: Ats ha attivato verifiche e, informalmente, sembrerebbe che la struttura si stia attivando per i tamponi. Ma non si sa bene quando. L’esposto resta sospeso, ma non accantonato.

Da Mediglia. La figlia di un’ospite deceduta ne ha per tutti: struttura, Ats, sindaco, Regione. E svela dettagli inquietanti

«Ho video e chiamate registrate, in questa Rsa è successo di tutto»

Emerge rabbia dalle parole di Anna Rita Ulturale, figlia di un’ospite deceduta nella Rsa di Mediglia, la residenza Borromea. Le informazioni emergono un po’ alla volta, la testimonianza è frammentata, eppure il quadro assume connotati sempre più chiari giorno dopo giorno. Lei, non fidandosi più di nessuno, rivela di aver registrato chiamate e di aver ricevuto un video da un operatore: un video in cui sua mamma appare senza coperta e senza ossigeno. Facile, dice, arrivare così in ospedale con 40 di saturazione.

Odissea. Ci racconta la sua odissea: la chiusura alle visite esterne del 24 febbraio, poi la marcia indietro che ha consentito a sua sorella Milva – rigorosamente munita di guanti e mascherina – di scoprire che la loro mamma non stava bene come dicevano. Era in sala colazione assieme a tutti gli altri, con 39 di febbre. E non ha riconosciuto per la prima volta in assoluto la figlia.

Da Mediglia
Da Mediglia

Giustificazioni. Anna Rita, che lavora come assistente odontoiatrica, accusa tutti per gli ingiustificabili ritardi nei protocolli di sicurezza interni e per una sanificazione incredibilmente non ancora realizzata. A partire dal sindaco di Mediglia Paolo Bianchi e dalla sua giunta: contattati il 3 di marzo da Milva, non avrebbero fatto seguito alle promesse a causa della natura privata della struttura. E ancora, Ats avrebbe addotto la stessa giustificazione. Regione Lombardia, per voce della direzione generale salute guidata da Maurizio Bersani, avrebbe garantito di essersi attivata.

Dettagli. La donna riferisce anche dettagli più inquietanti: il direttore sanitario sempre assente e quasi irraggiungibile; un’operatrice, parte del comitato che ha sporto denuncia, costretta a recarsi da sola in ospedale – e con la febbre – per fare un tampone; un altro operatore, trasferito in un’altra struttura all’inizio dell’emergenza Covid-19, avrebbe messo le mani addosso ad alcuni ospiti. E ancora operatori muniti di dispositivi di protezione individuale, non utilizzati per non spaventare gli ospiti.

Quota 70. Nessuno ha ammesso qualche responsabilità, nessuna condoglianza è stata fatta. Anna Rita dice di essersi affidata e fidata come quando si porta un bambino al suo primo giorno di asilo nido. La madre è venuta a mancare il 13 marzo. La scorsa settimana abbiamo parlato di 66 decessi, siamo arrivati a quota 70. Venerdì mattina i Nas si sono presentati in struttura per un sopralluogo, raccogliendo informazioni e documentazioni.

Torniamo nelle RSA
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