Scuole chiuse: la “resistenza” delle famiglie milanesi

Dieci giorni d’emergenza alle spalle e (almeno) altrettanti durante i quali Milano dovrà fare i conti con la chiusura delle scuole

Ancora per qualche tempo i banchi resteranno vuoti. Asili nidi, servizi educativi per l’infanzia, scuole di ogni ordine e grado, università, formazione e master: il coronavirus non esclude nessuno, almeno fino a metà mese. Ma basterà?

Piccoli e immuni? Il sito del Ministero della Salute riporta ora dopo ora uno screening in tempo reale dei casi d’infezione nel nostro paese. Il quadro si fa sempre più critico ed i contagi hanno ormai superato quota duemila. Tra questi i bambini e gli adolescenti sono la fascia meno interessata dal coronavirus.

Partendo dal primo focolaio cinese, passando per tutti gli altri luoghi dell’epidemia globale, i casi di contagio tra minori sono relativamente bassi. Inoltre i piccoli contagiati osservati finora in Italia sembrano aver contratto una forma benigna del COVID-19. Nel giro di pochi giorni sono stati tutti dimessi dagli ospedali in quanto non presentavano alcun sintomo. Insomma: i dati raccolti fino ad oggi sembrano voler indicare che il decorso della malattia sia nei più piccoli decisamente più lieve. Ma la chiusura di asili e scuole, per mille motivazioni diverse che è pleonastico elencare, non si discute.

A chi lo lascio? Certo, il blocco perdurante della didattica in loco pone un problema organizzativo ad un numero sempre maggiore di famiglie: una situazione in cui un caso difficilmente ne rispecchia un altro, ma dove è fin troppo semplice capire le difficoltà in comune. Difficoltà che probabilmente aumenteranno nelle prossime settimane, nel caso in cui gli istituti fossero costretti a mantenere ancora le aule chiuse.

È pur vero che l’Italia è un Paese sempre più maturo e i nonni, spesso, mantengono in vita il “welfare familiare”: ma sono sufficienti? Fuori dalla Lombardia qualcosa già inizia a muoversi. In Emilia-Romagna, ad esempio, cominciano a crearsi gruppi di sostegno tra famiglie coadiuvate da alcune associazioni. Milano, su questo versante, appare ancora come un pugile stordito dal gancio improvviso del virus. Certo, incasserà il colpo per tornare a mordere il ring. Ma a quale prezzo?


«Questione di responsabilità»: Silvia Petrolongo, 50 anni, architetto
«Stanno gestendo bene l’emergenza e gli allarmismi non servono a nulla. La chiusura delle scuole non è certamente un dramma, soprattutto per una città in cui è sempre stato tutto scandito alla perfezione. Ovviamente altri 15 giorni di stop causeranno dei problemi nella gestione del quotidiano per la famiglie. Mancano i giusti supporti a livello sociale, ma in questo momento bisogna prendersi delle responsabilità».


«Altre priorità» Anna De Castiglione 55 anni, titolare B&B
«In una città sempre di corsa ben venga questa fase di rallentamento. I ragazzi a casa non rappresentano un problema così grave. Nonostante il blocco scolastico potranno seguire le lezioni tramite i diversi programmi di didattica online. Al di là della scuola, ciò che preoccupa di più è l’aspetto economico: dovrebbero prendere misure concrete. Da titolare di un B&B sto vivendo sulla mia pelle questo disagio».


«Questo bimbo a chi lo do?» Katri Sarkko 50 anni, interior design
«Vengo dalla Finlandia, inizialmente reputavo esagerate le vostre misure. Vivendo qui, col tempo, mi sono ricreduta. La situazione scolastica, però, comporterà un bel po’ di problemi con il nuovo prolungamento. Molti miei amici a Milano si chiedono a chi lasceranno i propri figli. Ci sono difficoltà anche per gli studenti stessi: mia figlia ha perso alcune date per gli esami all’università e non sa quando potrà recuperarli».


«Smart worker» Valerio S. 49 anni, impiegato
«Tenere i bambini a casa in questi giorni richiede tutta una serie di cure non sempre facili. A livello didattico stanno fornendo i compiti attraverso il gruppo della scuola. Ci hanno già comunicato che con il prolungamento della chiusura svolgeremo le nostre mansioni da casa come smart worker. Il blocco della scuola non ci agevola, ma è una misura di sicurezza indispensabile».


«Recupero impossibile» Claudia Milani 42 anni, docente
«Non so se sia un provvedimento eccessivo. Questo non so dirlo, ma non credo. Spero che abbiano valutato a dovere la situazione sanitaria. Sul fatto che comporti dei disagi, non c’è dubbio. Recuperare tutte queste settimane di lezione a fine anno è pressoché impossibile. Sono un insegnante e al momento nell’università in cui lavoro non è neanche stata attiva la didattica online. Spero che lo facciano al più presto».


«Che confusione» Regina Mezzera 74 anni, pensionata
«Ho cinque nipoti che se la stanno godendo alla grande. A livello di didattica online non è stato organizzato nulla. Probabilmente non hanno gli strumenti adatti. So solo che non vogliono la nonna per le ripetizioni! Non so dire se le misure siano corrette o meno, non sono un’esperta e non devo parlarne io. Ma vedo che nemmeno gli esperti riescono a trovare un punto d’incontro. C’è soprattutto tanta preoccupazione».


«Scuolavirus!» Simona Salteri 42 anni, architetto
«Le misure adottate sono un po’ forti. Credo che, più che proteggere gli studenti, stiano provocando danni economici. Attività, musei, cinema chiusi: nulla di tutto ciò fa bene alla città. Chiarisco: per quanto riguarda la scuola, ci sta la misura precauzionale, ma con la chiusura prorogata fino a metà mese ci saranno grossi problemi per le famiglie. E allora ci leccheremo le ferite, ancora una volta».


«Controllo all’italiana» Emmanuelle C. 50 anni, architetto
«Hanno fatto bene a prolungare la chiusura delle scuole. Gli scienziati recupereranno dati utili per comprendere il livello di evoluzione del virus. Sono francese e da noi non sono state adottate le stesse precauzioni. Mi dispiace dirlo, ma lì il controllo del virus sarà più difficile. Dall’altro canto la situazione comporterà sempre più disagi organizzativi, soprattutto per chi ha dei bambini piccoli».