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29. 03. 2024 09:49

SOUQ Film Festival, il racconto che si vede

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Far spazio alle produzioni di livello che spesso non trovano posto in prima fila, metafora di quello che spesso accade ai protagonisti delle pellicole presentate. SOUQ Film Festival è esattamente questo. Il concorso cinematografico, giunto alla settima edizione, offrirà proiezioni gratuite nel Chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro Grassi, in via Rovello a Milano, da venerdì 16 a domenica 18 novembre.

La manifestazione promossa dalla Casa della Carità, attraverso il proprio Centro Studi sulla Sofferenza Urbana SOUQ, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, quest’anno presenta 30 cortometraggi in concorso e i lungometraggi fuori concorso che approfondiscono le tematiche protagoniste delle attività sociali della Casa della carità “Angelo Abriani”, nata nel 2002 dall’iniziativa del cardinale Carlo Maria Martini.

FILONI • Tre i temi principali: la violenza contro le donne, l’immigrazione e la salute mentale. «Per i lungometraggi di questa edizione abbiamo seguito questi filoni. Venerdì sera esploreremo il primo grazie all’intenso On Her Shoulders, in anteprima milanese – anticipa Delia De Fazio, direttrice artistica del festival –. Il documentario racconta la vita di Nadia Murad, una delle donne yazide rapite e violentate dai terroristi dell’ISIS, diventata ambasciatrice dell’ONU. Per il suo impegno, nel 2018 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. È un film che abbiamo fortemente voluto per il SOUQ».

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L’immigrazione è da sempre uno dei filoni centrali del Festival che quest’anno vedrà tra i rappresentanti principali il film austriaco Migrumpies. A quarant’anni dall’approvazione della Legge 180, la cosiddetta Legge Basaglia, SOUQ Film Festival ha scelto di dedicare ampio spazio anche al tema della salute mentale con la proiezione di Color Burst, pellicola che nasce dagli ospiti e dagli operatori professionali dell’istituto San Pedro di Porto Alegre, dove vengono accolte le persone con problemi mentali e riabilitate grazie all’arte.

RACCONTARE • Oltre ai tradizionali premi della giuria tecnica e del pubblico, in questa edizione troverà spazio anche un importante riconoscimento assegnato da una giuria speciale, composta da persone senza dimora che frequentano le docce della Casa della Carità e che visioneranno in anteprima i cortometraggi in concorso.

Continua così – ed è sempre più salda – la collaborazione tra il festival e il Piccolo Teatro di Milano: «SOUQ è tutt’altro che banale e marginale, rappresenta la funzione della cultura. Qui si fa il racconto, che vuol dire condividere con le persone la reciproca conoscenza e i film che vengono presentati qui, di qualità sempre maggiore negli anni, vanno esattamente in quella direzione – spiega Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano –. Grazie al cinema e al teatro si condivide la curiosità di capire e vedere, la conoscenza reciproca che è il presupposto per poter affrontare i cambiamenti del mondo, per ritrovare la nostra identità. Per questo continua la collaborazione tra Piccolo Teatro e SOUQ, abbiamo la responsabilità di raccontare queste realtà».

IL PERSONAGGIO

«Possiamo essere meglio di così»

Arman T. Riahi porta agli estremi i concetti di immigrazione ed integrazione con The Migrumpies

Cosa pensa delle rassegne cinematografiche di questo genere?
«Sostengo fortemente festival come il SOUQ perché sono convinto che sono vitali per l’identità stessa di una città. I festival cinematografici aiutano a rafforzare il legame tra la città e i suoi abitanti, aiutandoli a capire le complessità e i cambiamenti del mondo. Le rassegne che si concentrano su temi sociali, poi, dovrebbero essere sostenute perché sono sempre le questioni sociali che separano le persone».

Com’è venuta l’idea della trama del suo film?
«Il film attinge alle esperienze di chi ha collaborato alla realizzazione e ai punti di vista diversi su immigrazione e integrazione, portandoli agli estremi: se una persona è ridotta ad un unico aspetto della sua vita, come l’essere un immigrato, cosa succede se incrementi questo aspetto per conformarti a quello che le persone e i media si aspettano da te? Nella prima scena si vede uno dei protagonisti a un casting, dove è scartato per la parte di un austriaco perché non sembra il classico caucasico. Ma lui è nato in quella città. Questa è la triste realtà per molti immigrati di seconda e terza generazione: siamo nati “qui”, ma non saremo mai accettati. Questo è un sentimento che molti figli di immigrati provano».

Quale messaggio vuol far passare?
«Vorremmo che lo spettatore guardasse oltre gli stereotipi, i cliché e i pregiudizi che si sono formati nelle nostre teste, anche inconsapevolmente, sugli immigrati».

Quali sono secondo lei i veri cliché e i pregiudizi nel mondo che viviamo?
«L’immigrazione è spesso associata ad un furto di diritti o benefit sociali. Ma le persone dimenticano che gli immigrati sono stati fondamentali nella costruzione dell’Europa. L’Islam, invece, è associato al terrorismo, ma si dimentica che il 99% dei musulmani sono persone di pace. Davvero non sappiamo vedere oltre la propaganda politica, i demagoghi e i media di parte? Io penso che possiamo essere meglio di così».

Cosa può fare l’industria cinematografica per scardinare le convinzioni legate a temi così importanti?
«Dobbiamo smettere di raccontare la storia dell’immigrazione da un solo punto di vista, che nutre una sola immagine di una cultura, di un popolo, di un fenomeno. Abbiamo bisogno di persone con conoscenza ed esperienza di questi temi nel mondo dell’informazione, del cinema, della tv. Abbiamo bisogno del loro punto di vista per cambiare la narrazione».

È la prima volta per lei a Milano?
«Sì e già la amo. Ho sentito tanto parlare della città. Posso vedere il mio film riflettersi nelle diverse comunità che vivono qui. La prova che è importante dar loro voce, far diventare visibili le storie e portarle all’attenzione del grande pubblico. Le persone sono molto di più di un titolo di giornale».

LA SELEZIONE DI MT

On her shoulders
di Alexandria Bombach
USA, 2018 • 94’
Venerdì 16 novembre alle 21.00
La vita di Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018, è una schiera di imprese estenuanti: dal testimoniare di fronte alle Nazioni Uniti, fino alle visite nei campi profughi. Con precisione formale ed eleganza, vicine a Nadia, ma anche con profonda compassione, la filmmaker Alexandria Bombach ha seguito e raccontanto questa giovane donna, che è sopravvissuta al genocidio degli Yazidi nel nord dell’Iraq ed è sfuggita alle mani dell’ISIS, diventando un faro di speranza per il suo popolo.

The Migrumpies
di Arman T. Riahi
Austria, 2017 • 98’
Sabato 17 novembre alle 21.30
Benny e Marko, due ragazzi viennesi perfettamente integrati nella nuova città da non essere percepiti come stranieri. Davanti ad un’ambiziosa regista che vuole raccontare i sobborghi multietnici della città, si costruiscono una seconda identità infarcita di cliché e pregiudizi: fingono di essere piccoli criminali. Qui i due si trovano davanti a vere storie di immigrazione, che nulla hanno a che fare con questi stereotipi.

Color Burst
di Mario Saretta
Brasile, 2016 • 70’
Domenica 18 novembre alle 21.30
Un tocco di colore rimane in quelli che passano per il workshop creativo dell’istituto San Pedro che a Porto Alegre accoglie persone con problemi di salute mentale, un tempo ospedale psichiatrico. Color Burst è un incontro con i colori ma, soprattutto, con la diversità. Un film sull’arte, sulla follia e sulla libertà, che nasce dagli ospiti e dagli operatori professionali di questa struttura.

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