Ieri è iniziato il nuovo anno scolastico. Tabelline, temi, proiezioni ortogonali, versioni di greco, phrasal verbs non dovrebbero essere considerati più importanti della salute mentale di bambini e ragazzi. È ora che tutti gli adulti “nella stanza” si mettano d’impegno per ascoltare ed educare una generazione in grande difficoltà, che spesso non sa relazionarsi né con se stessa né con gli altri.
Settembre è, tra l’altro il mese dedicato alla prevenzione del suicidio e a ottobre il Comune di Milano porterà avanti l’iniziativa MilanoForMenalHealth. È di questi giorni il lancio di una petizione da parte di alcuni fra i psicoterapeuti e pedagogisti più preparati del nostro Paese, da Alberto Pellai a Daniele Novara, ai quali si sono aggiunti volti noti del cinema come Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino e altri, per chiedere al governo una legge per vietare il possesso di cellulari personali da parte di bambini sotto i 14 anni e l’accesso ai social da parte di ragazzi sotto i 16 anni.
Si può essere d’accordo o meno, ma questo è parte di un allarme che gli esperti del settore stanno lanciando da alcuni anni su come le nuove generazioni si trovino senza una bussola, naturalmente non solo a causa delle nuove tecnologie. Dopo la strade di Paderno Dugnano e l’episodio di Terno D’Isola nei quali due ragazzi, un diciassettenne e un trentenne, hanno tirato fuori il coltello per uccidere – “a freddo”, apparentemente senza un motivo preciso – i propri famigliari, o una donna che sfortunatamente “passava di lì”, siamo tornati tutti a chiederci perché, a porci domande su “cosa stiamo sbagliando”.
Anche a Mi-Tomorrow non smettiamo di interrogarci e lo facciamo con questo speciale, con l’aiuto di professionisti, dei dati (in particolare quelli del rapporto Transcrime dell’Università Cattolica “Le traiettorie della devianza giovanile”) e dei nostri giornalisti.
Strage di Paderno Dugnano, la neuropsichiatra Antonella Costantino: «L’ansia di primeggiare e l’incapacità di gestire i conflitti»
Manuela Sicuro
La strage di Paderno Dugnano è quella doccia gelata che lascia poco spazio alle parole e ancora meno alle facili conclusioni. Quello che emerge evidente è la difficile situazione delle famiglie e dei loro figli, sempre più esposti a disagi interiori, affrontati poco da una società che sembra quasi cieca ai loro problemi.
«Ci sono un po’ di aspetti che caratterizzano questo momento storico dei ragazzi, i loro malesseri o i disturbi neuropsichici sono multifattoriali e quindi molto complessi». Parte da qui Antonella Costantino, Past President SINPIA e Direttore UONPIA (Unità Operativa Neurpsichiatria Pricologia Infanzia Adolescenza) di Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Quali sono i maggiori problemi nell’età evolutiva oggi?
«Un sintomo trasversale è quello che riguarda la disregolazione emotiva, una fatica particolare nel maneggiare le emozioni molto intense, con una tendenza a passare immediatamente a comportamenti che dovrebbero essere controllabili. Questo lo vediamo anche negli adulti, è un tratto rimarcato nei nostri tempi».
Questi tratti sono curabili?
«Per quello che sappiamo oggi dalla ricerca, sì in molti dei disagi. Il problema è diagnosticarli presto, per farlo bisogna che gli adulti siano attenti a coglierli e i ragazzi devono sentirsi di liberi di dire se si sentono esclusi, non capaci o a disagio nel mondo».
Da cosa derivano in molti casi questi disagi?
«Ci sono una serie di problemi per cui i ragazzi si sentono sovraccaricati, come l’assenza di prospettive lavorative, la guerra, l’emergenza climatica, la pandemia, che pesano rispetto al futuro. Hanno anche una pressione prestazionale altissima, bisogna essere bravissimi, i primi in tutto e non è facile dire agli adulti che non si riesce a realizzare tutto e che si vorrebbe fare altro nella vita».
Come riconoscere alcuni segnali di questi problemi?
«Fare attenzione se ci sono delle cose che cambiano e sono un po’ strane. Se un ragazzo sempre socievole si chiude in stanza, può succedere, ma è bene tenerlo d’occhio senza andare verso l’eccesso di controllo che non permettere di crescere, però bisogna essere più attenti all’ascolto, questo sia per i genitori che per gli educatori».
Il ragazzo autore della strage di Paderno Dugnano ha dichiarato che percepiva “gli altri come meno intelligenti e che sarebbe stato più libero di affrontare la vita dopo gli omicidi”.
«Questo può stare nella linea dell’attesa prestazionale, cioè chi non è primo non vale niente e sappiamo che non è così. Ma difficile immaginare che quanto è successo sia legato solo a questo».
La cronaca ci racconta di ragazzi che perdono il controllo in maniera violenta, quali potrebbero essere le motivazioni?
«Difficile da capire, il modello che percepiscono oggi è che la soluzione violenta delle cose è normale, si fatica a gestire le emozioni “bollenti” senza che diventino azioni, non si è capaci a gestire il conflitto».
Come agire per aiutare questi ragazzi?
«A livello familiare e di tutto il mondo adulto mantenendo aperta l’attenzione, il dialogo e l’ascolto fin da quando i bambini sono piccoli allenando i ragazzi al conflitto, al fatto che non sempre si può ottenere quello che si vuole, alla modulazione dei social, a dare dei gradi di libertà per far sperimentare la responsabilità, far sapere che si può parlare dei problemi».
A Milano ci sono progetti del genere?
«Molti, tra cui per esempio il progetto Accoglimi, del Comune di Milano, in cui c’è la possibilità di confrontarsi con pscicologi ed educatori, alle volte è più facile accorgersi dei problemi se si mettono insieme più contesti. E poi se serve ci si può rivolgere ai servizi specialistici. Ognuno di noi deve fare il proprio pezzo, far capire ad esempio che dai conflitti si può uscire senza arrivare alla guerra».
Strage di Paderno Dugnano, l’associazione Telefono Amico: «Aumentano le chiamate, molti sono giovanissimi»
Giovanni Seu
Attivo da 24 anni, Telefono Amico è un po’ un termometro dello stato di salute psicologica dei milanesi. Che non è dei migliori, come racconta a Mi Tomorrow il presidente Tiziana Bedani.
Quante chiamate ricevete?
«Nei primi 8 mesi di quest’anno 200: si tratta di persone che hanno pensieri suicidi oppure comunicano quelli di un loro caro».
È cambiato qualcosa in questi ultimi anni?
«L’argomento è meno tabù, se ne parla di più, ma abbiamo rilevato un aumento di casi di instabilità emotiva».
Ciò significa un aumento di chiamate?
«Il lockdown è stato decisivo nel fare esplodere problemi che esistevano già».
Forse il disagio era forte anche prima ma, per varie ragioni, non si manifestava?
«È possibile, vede noi facciamo un’opera di prevenzione che si esprime solo quando le persone decidono di chiamare».
Qual è l’identikit di chi chiama?
«Molti sono giovani, sotto i 30 anni, anche sotto i 25 anni: diciamo che costituiscono la metà».
Quali sono le cause di una decisione così drastica?
«Soffrono le separazioni dei genitori, non sopportano una bocciatura scolastica o universitaria, l’abbandono da parte del partner: questo per quanto riguarda i più giovani. Per i più grandi conta molto il lavoro, l’aspetto economico, l’idea di essere un fallito dopo un insuccesso lavorativo o l’arrivo della disoccupazione».
Chiamano anche persone della terza età?
«Sì, in questi casi le motivazioni sono diverse, ad esempio la mancanza di prospettive, il venire meno di un progetto di vita, la mancanza di impegni che può portare alla depressione».
Come funziona il Telefono Amico?
«Ascoltiamo le telefonate, cerchiamo di capire, di fare cambiare idea».
Fate incontri?
«No e neppure call: la nostra filosofia è di altro tipo».
È possibile che si instauri un rapporto telefonico tra chi chiama e chi risponde?
«Non è facile perché noi siamo volontari, ogni volta risponde chi è di turno».
Capita che vi troviate in situazioni critiche?
«Se ci sono casi estremi, allora chiamiamo subito le forze dell’ordine o il 118».
In quanto siete impegnati?
«Cinquanta, tutti volontari».
Qual è l’obiettivo più importante?
«Sensibilizzare le persone, riuscire a fare prendere conoscenza. Anche per questo domenica Telefono Amico Italia ha in programma la nuova edizione dell’evento “Non parlarne è 1 suicidio” ai Giardini Montanelli, dalle 15.00 alle 19.00: è un modo per incontrare la cittadinanza e aiutare le persone a prendere coscienza delle proprie emozioni»
Strage di Paderno Dugnano, il commento: il terrore del vuoto e i segnali da cogliere
Gianpaolo Di Salvo
La mente umana è complicata e non sempre riusciamo a gestire le nostre emozioni. Un problema può trasformarsi in tragedia, come accaduto nella notte di domenica 31 agosto a Paderno Dugnano. Questa data rimarrà impressa nelle menti dei cittadini per il suo tragico epilogo. Un ragazzo di diciassette anni, con 67 coltellate, ha tolto la vita a sua madre, a suo padre e al fratellino di dodici anni. Le forze dell’ordine lo hanno trovato fuori casa, coperto di sangue, ma pacato e lucido.
Inizialmente, aveva dichiarato di aver ucciso solo il padre, sostenendo che era stato quest’ultimo a togliere la vita alla madre e al fratello minore. Il giovane, dopo dodici ore di interrogatorio, ha confessato di aver pianificato l’omicidio giorni prima. I compagni di scuola sono rimasti sconvolti: mai avrebbero immaginato che il loro amico potesse compiere un simile massacro. La vita può essere dannatamente crudele per chi perde speranze e sogni.
Il mondo reale è fragile e segnato da cicatrici profonde, ma solo il dialogo può risanarle. Ogni pensiero oscuro, se affrontato con il giusto sostegno, può trasformarsi in una vittoria. Spesso pensiamo che certi orrori accadano solo nei film o nei libri, ma la vita sa essere altrettanto amara. Questa tragedia ha sottolineato l’importanza di cogliere i segnali e aiutare chi ne ha bisogno, perché solo con il sostegno si può impedire alla fragilità umana di sfociare in una catastrofe.