10 febbraio 1992 usciva “Hanno ucciso l’uomo Ragno” degli 883, una settimana dopo, il 17, Mario Chiesa veniva arrestato dando avvio a “Mani pulite” e a “Tangentopoli”.
Che cosa rimane dopo 30 anni?
Dopo così tanto tempo le analisi storiche dovrebbero lasciare il passo a tutto il resto. E invece, a distanza di 30 anni, alla cerimonia degli Ambrogini d’oro lo scorso 7 dicembre si è accuratamente evitato di inserire la parola “socialista” nella motivazione della benemerenza postuma a Carlo Tognoli, indimenticato sindaco della nostra città e che svolse il suo mandato proprio in quella tanto vituperata, a torto, “Milano da bere” (per l’Ambrogino a Gianni Cervetti, al contrario, non si è avuto timore nell’usare la parola “comunista”).
Come se “socialista” fosse ancora una parolaccia. Eppure, dalla Liberazione al 1992, Milano ha conosciuto solo sindaci socialisti. E il riformismo ambrosiano è stato l’elemento in grado di proiettare la città nel futuro senza dimenticarsi della lotta alla povertà, senza tralasciare l’impegno a emancipare le classi meno abbienti.
Quel riformismo, però, ha saputo in qualche modo resistere negli anni grazie ad alcune figure individuali, magari lontano dalla politica “politicante”, che hanno saputo o tentato di incidere nelle grandi scelte strategiche. Sia nel periodo berlusconiano che oggi dopo 10 anni di guida del centrosinistra.
Eppure ancora dopo 30 anni non si è in grado, a Milano, di fare una seria riflessione su quella stagione, ragionando sugli eccessi giudiziari talvolta violenti se non persino “eversivi” (nel senso etimologico del termine). Si è buttato tutto via, cercando il più in fretta possibile di dimenticarsi di quanto successo, del passato, delle tante cose buone realizzate. Certo ci furono ombre, ma l’ombra è possibile solo quando c’è luce.
Non si tratta di riabilitare, i fatti sono più testardi nel farlo, ma di ricostruire con più equilibrio la storia della nostra città, che non fu di malaffare indiscriminato ma fu soprattutto di progresso e di crescita, di emancipazione e di riscatto.
Un equilibrio che in quegli anni mancò e che portò a un ribellismo senza sbocchi sensati, a un rovesciamento di cui i benefici non si sono visti né si vedono. Sarebbe un servizio alla città e al suo futuro, analizzare quegli anni pubblicamente. Servirebbe non tanto per un revisionismo storico fine a se stesso, ma per riprendere un filo di cui, oggi più che mai, c’è molto bisogno. A meno che qualcuno non sostenga che, per esempio, le periferie milanesi siano meglio oggi.