Circa un mese fa, quando già da alcuni giorni l’assessora regionale al Welfare Letizia Moratti parlava ottimisticamente del traguardo dell’”immunità di comunità” per la Lombardia, iniziava finalmente la campagna vaccinale per gli stranieri non ancora in possesso di un regolare permesso di soggiorno.
«I cittadini – così scriveva in una nota la Regione Lombardia – in attesa di definizione delle procedure di emersione e gli Stranieri Temporaneamente Presenti che insistono sul territorio lombardo potranno accedere al sistema di prenotazione della vaccinazione anti Covid-19 in autonomia, direttamente dal portale di prenotazione». Da quel 25 giugno, cosa è effettivamente cambiato nella campagna vaccinale per gli stranieri?
Proviamo a capirne di più con Sabina Alasia, presidentessa di Naga, onlus che opera a Milano dal 1987 e che con i suoi oltre 4.000 volontari fornisce quotidianamente assistenza medica e legale a tutti gli stranieri presenti.
Campagna vaccinale per gli stranieri a che punto siamo?
Come procede la campagna vaccinale rivolta agli stranieri?
«È doveroso fare un distinguo tra cittadini stranieri in possesso di un permesso di soggiorno e coloro che ancora non sono in possesso di questo documento. I primi sono dotati di tessera sanitaria e possono iscriversi al portale regionale come qualunque altro cittadino».
Invece chi non ha il permesso di soggiorno?
«Può accedere da alcune settimane al portale attraverso il codice STP, un codice che dà il diritto all’assistenza sanitaria agli stranieri irregolari presenti sul territorio».
Come si ottiene il codice STP?
«Per ottenerlo è necessario che il cittadino straniero stia già seguendo un percorso di cura presso una struttura sanitaria».
Quindi non si può ottenere semplicemente per vaccinarsi?
«Esattamente. La legislazione garantisce le cure essenziali anche per i cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, ma nella fattispecie non è contemplata la vaccinazione come cura fondamentale tale da rilasciare un codice STP».
Esistono modalità di accesso alternative per gli stranieri?
«No, a meno che non si considerino quelle persone che sono riuscite ad ottenere un codice fiscale provvisorio facendo domanda di sanatoria, il provvedimento lanciato due anni fa (dall’ex ministro Bellanova, ndr) per regolarizzare una parte dei cittadini stranieri irregolari».
Possiamo dire che c’è un vuoto normativo?
«Più che un vuoto normativo direi una non corretta applicazione della legge. Basterebbe inserire la vaccinazione tra le cure essenziali e concedere un codice STP per registrarsi al portale».
Numericamente come si traduce questo deficit?
«Data l’impossibilità di recuperare un codice STP da gran parte degli stranieri, rimangono esclusi all’incirca 600mila persone dalla campagna vaccinale in tutta Italia. Di queste, 50mila sono presenti nella sola Lombardia, essendo la regione più popolosa».
Coloro in possesso del codice STP, invece, stanno riscontrando problemi nelle prenotazioni?
«Per ora abbiamo notizie di esperienze diversificate. C’è chi inserendo il codice si è potuto registrare senza problemi, mentre per altri l’iscrizione è stata un po’ più macchinosa. Abbiamo dovuto in alcuni casi segnalare alcune difficoltà all’accesso».
Ad inizio mese il Tribunale di Milano ha condannato l’Ats e l’Ospedale Niguarda per non aver fornito assistenza medica ad una cittadina rumena. Com’è possibile?
«I cittadini romeni e bulgari vivono una sorta di paradosso. Nonostante siano membri della comunità europea, non godono dell’assistenza sanitaria garantita a qualunque altro cittadino europeo presente in uno stato dell’Unione».
Per quale motivo?
«Secondo il regolamento europeo lo Stato che fornisce la nazionalità al cittadino e quello ospitante si dividono le spese sanitare per garantire l’assistenza medica. Per quanto riguarda la Romania e la Bulgaria i sistemi sanitari nazionali sono talmente precari da non poter compensare le spese mediche. Ad ogni modo l’Unione Europea ha introdotto il codice ENI, simile al codice STP, ma riservato ai cittadini comunitari».
E allora come mai la condanna?
«Il codice Eni non è stato recepito in Italia in maniera uniforme. Alcune Regioni hanno deciso di adottarlo, altre no. La Lombardia rientra in quest’ultima categoria».
Pensa che la sentenza del Tribunale di Milano possa essere un precedente valido per far cambiare rotta alla Lombardia su questo punto?
«È troppo presto per dirlo, dato che la sentenza è di poche settimane fa. Certamente può diventare un caso pilota per portare avanti una battaglia sul tema anche dal punto di vista legale. Nel modus operandi dell’associazione Naga cerchiamo sempre di partire dal singolo caso per poi cercare di generalizzare la rivendicazione».
Mi fa un esempio?
«Qualche anno fa, partendo dalla denuncia di un cittadino straniero impossibilitato ad ottenere l’assegnazione di un pediatra per i propri figli, in quanto minori irregolari, siamo riusciti a conquistare una circolare con valore territoriale che oggi assicura il medico di base anche ai minorenni senza permesso di soggiorno».