Le nuove misure restrittive sono la conferma che la seconda ondata di coronavirus ha ormai travolto il paese. Ma quali sono le differenze con la prima?
I dati. Sarebbe inutile fare un rapporto sui contagi: in primavera si eseguivano tamponi solo su coloro che presentavano sintomi gravi, di conseguenza i dati relativi ai positivi non sono uno specchio efficace della realtà epidemiologica dell’epoca.
Il primo dato da prendere in considerazione è quello dei decessi. Tra il 24 febbraio ed il 29 marzo scorso le vittime furono ben 6.360, mentre negli ultimi 35 giorni i morti sono in totale 893. In pratica 1/6 rispetto alla prima ondata.
Altro dato in un certo senso rassicurante è quello delle ospedalizzazioni. Nello stesso periodo tra febbraio e marzo si passava da 77 ricoveri a 11.613, mentre nell’ultimo mese i pazienti sono cresciuti da 333 unità a 5.018.
Discorso simile può essere fatto per le terapie intensive che durante la primavera avevano raggiunto in un mese 1.328 posti occupati, mentre oggi si attestano a 507. «È vero che i ricoveri sono aumentati in ottobre di circa un terzo rispetto a marzo — spiega Carlo La Vecchia, epidemiologo della “Statale” — ma i pazienti sono diversi. Finché c’è posto, si ricoverano pazienti meno gravi, e la sopravvivenza nelle terapie intensive è ora oltre l’80 per cento, rispetto al 60 per cento di marzo. Questo anche per il lavoro e l’impegno inestimabili del nostro personale sanitario. I ricoveri sono ora quasi tutti (90 per cento) da codici verdi, quindi non confrontabili a quelli di marzo. D’altra parte è comprensibile che un paziente con Covid moderato ora cerchi in ospedale assistenza medica che non trova altrove».