Si sono concluse le indagini su Uber Italy, filiale italiana del colosso americano, accusata di offrire condizioni di lavoro umilianti e degradanti ai propri rider. Lo scorso 29 maggio il Tribunale aveva disposto un provvedimento mai preso prima nei confronti di una piattaforma di delivery, ovvero il commissariamento.
L’indagine. Seconda l’accusa formulata dal pm, la manager della filiale italiana Gloria Bresciani e altri 3 indagati «utilizzavano – si legge così nel testo redatto dagli inquirenti -, impiegavano e reclutavano rider incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso imprese, per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti e richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale».
I rider non solo venivano pagati 3 euro a consegna, indipendentemente dalla lunghezza del tragitto che dovevano percorrere, ma venivano anche derubati delle mance lasciate dai clienti. Poi, in caso di assenze lavorative, venivano sanzionati attraverso la sospensione dei pagamenti.