11.7 C
Milano
25. 04. 2024 21:43

Un racconto esclusivo dalla terapia intensiva: «Siamo vittime del meccanismo bulimico dell’informazione»

Un'intervista esclusiva direttamente dalla terapie intensive: il racconto

Più letti

Adrenalina, consapevolezza, paura, frustrazione, ansia, rabbia, delusione, stanchezza, solitudine. Le sensazioni degli operatori sanitari che da mesi combattono la battaglia sul fronte ospedaliero sono un turbinio schizofrenico che solo ora inizia ad acquisire una forma più definita. Ne parliamo con un medico che lavora da sempre nella terapia intensiva di uno degli ospedali di punta del panorama milanese. E che, naturalmente, ci chiede l’anonimato.

Com’è la situazione attuale in ospedale?

«A marzo e aprile l’impatto, imprevisto, ci ha travolto e ha provocato una reazione di adrenalina. La percezione attuale è differente: da una parte l’operatore sanitario arriva più strutturato, dall’altra con la consapevolezza che la situazione non avrà una durata temporale limitata».

Le tre parole di oggi? Scoprile in newsletter!

Cosa genera più amarezza?

«Riscontrare gli effetti dell’inefficienza programmatica da maggio in poi. La situazione di oggi, di difficile gestione, era preventivabile, ma ci si è comportati passivamente rispetto alla formazione di nuovo personale».

E la cosa che genera più ansia?

«L’anomalia non è lavorare su pazienti potenzialmente pericolosi per l’operatore, ma la possibilità di portare a casa il virus. In particolare dopo aver superato la stanchezza psicologica di marzo e dopo aver imparato a strutturare la paura, dandole una forma».

Come avete reagito, una volta accertata l’esplosione della seconda ondata?

«Frustrazione, depressione, rabbia, paura. Siamo più fragili, il rischio è che la risposta sistemica non sia ottimale».

Anche noi cittadini siamo vittime di una situazione schizofrenica.

«La schizofrenia di cui parla è la metastasi di una patologia già radicata nella nostra società. L’importante, secondo molti, è avere uno spazio in cui vomitare in modo perentorio informazioni su un virus peculiare dal punto di vista clinico e inevitabilmente indecifrabile».

Non è inquietante che la scienza venga messa in discussione?

«La letteratura scientifica fa il suo corso. La comunicazione generica passa invece in via confusionaria, creando un meccanismo bulimico accelerato dalla digitalizzazione. Quelli che hanno passeggiato al caldo dei salotti televisivi non si sono ammalati: noi sì».

medici di famiglia

Si sente di commentare chi percorre la “strada” del negazionismo?

«Dal Dopoguerra in poi il boom economico e il welfare hanno generato un benessere tale da farci credere di poter gestire qualsiasi cosa: ecco perché, assieme a un individualismo sempre più sfrenato, di fronte a un problema di difficile gestione la risposta di alcuni è negare».

Come possiamo arginare questa deriva?

«Dobbiamo imparare a sintonizzare i nostri bisogni e desideri con quelli dell’Altro: è uno step educativo da acquisire. Ma, le dico, il negazionismo è arrivato persino in corsia: abbiamo colleghi, fradici nelle loro tute, che pensano sia tutto un complotto».

Che riflessione si può fare sul sistema sanitario?

«Da trent’anni ha l’obiettivo di trarre profitto più che di curare le persone: è una contraddizione intrinseca che la vicenda Covid ha accentuato. La sanità deve essere la tessera di un puzzle più grande: dobbiamo lavorare sull’ambiente e sulla prevenzione per limitare il numero dei pazienti».

Sarà utile in seguito individuare eventuali responsabilità?

«Sarebbe importante fin da ora ricevere garanzie che il domani non sarà più come ieri. Bisogna stanare in modo critico, non polemico, un modello insano e stilare una lista di mancanze, bugie e responsabilità dirette che hanno nomi e cognomi».

Un episodio che ricorda con più intensità di questi mesi?

«Allargando il campo direi la solitudine dei nostri pazienti. Scopri di avere il virus, in alcuni casi nel giro di pochi giorni peggiori, ti ritrovi in ospedale, ti addormenti, ti risvegli e sei solo, i parenti non possono entrare. Così proviamo anche a coccolarli».

La pandemia ha tanti colori: una “filiera” di storie tra rischi, paure, emozioni. In una parola: vita. Oltre a questa storia, tante altre sono presenti sul nostro numero odierno. Per leggerle clicca qui.

In breve

FantaMunicipio #27: quanto ci fa bene l’associazionismo cittadino

Pranzi, musica, poesia, arte, intrattenimento, questionari, flash mob e murales: tutto all'insegna dell'associazionismo cittadino e delle comunità che popolano...