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23. 04. 2024 10:09

Straberry di Cassina de’ Pecchi: emerge il “sistema del terrore” dagli atti dell’inchiesta

Ritmi di lavoro disumani e discriminazione razziale: le testimonianze degli "schiavi della marmellata"

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La Straberry di Cassina de’ Pecchi era un’azienda modello dove grazie alle serre fotovoltaiche si coltivavano fragole, mirtilli lamponi e more, vendute anche sulle strade di Milano. Un progetto premiato anche da Coldiretti che però dietro all’immagine impeccabile di facciata nascondeva una raccapricciante storia di sfruttamento. Sono emersi i primi verbali rilasciati dai braccianti sfruttati in condizioni disumane per 4,50 euro l’ora.

I verbali.  «Non c’era alcun tipo di rispetto nei miei confronti e nei confronti dei miei colleghi […] usavano parole come negro, animali. Nessuno indossava la mascherina, non era rispettata nessuna distanza tra noi operai», si legge nella deposizione di un migrante originario della Sierra Leone.

A capo del sistema di terrore all’interno dell’azienda agricola c’era Guglielmo Stagno d’Alcontres, 32enne dalle nobili origini: si faceva chiamare il “Capo grande”. «Con loro devi lavorare in maniera tribale – spiegava ad un suo interlocutore in un’intercettazione –. Tu devi fare il maschio dominante».

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I ritmi di lavoro erano massacranti, e nel caso non si riuscissero a mantenere gli “standard produttivi”, oppure qualcuno provasse a lamentarsi, scattava il “ban lavorativo”, una pausa forzata e non retribuita. «ll capo ci ha detto – si legge ancora nella deposizione del migrante – che dovevamo lavorare veloci e che se uno non lavorava veloce e bene lo avrebbero lasciato a casa in pausa. Per lavorare veloce il capo intendeva che ogni giorno bisognava raccogliere almeno 25 cassette, il minimo consentito».

Nel caso poi non si rispettassero le regole il licenziamento era immediato e brusco. La stessa sorte capitata al migrante del racconto per essersi allontanato dal gruppo per andare a bere ad una fontana. «Ha iniziato a urlarmi in faccia che dovevo firmare la lettera di dimissioni – si legge ancora negli atti depositati -, mi ha detto che siamo dei poveracci africani che non hanno niente e mi ha spintonato violentemente provando a buttarmi fuori dall’ufficio».

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