Emergency, un quarto di secolo a schiena dritta

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Era il 15 maggio 1994. Gino Strada e la moglie Teresa Sarti, insieme a Carlo Garbagnati e Giulio Cristoffanini, davano vita a Emergency. Nata come associazione umanitaria e successivamente, tra il 1998 e il 1999, riconosciuta come Onlus e Ong, questa realtà, partita da Milano, si accreditata come partner privilegiato delle principali azioni umanitarie delle Nazioni Unite.

L’obiettivo principale, da statuto, è sempre stato quello di offrire cure mediche e chirurgiche di qualità e gratuite a tutte le vittime di guerra. Ma nel corso degli anni Emergency si è fatta portabandiera di campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per il rispetto dei diritti di tutti.

Domani, in occasione del suo venticinquesimo compleanno, Emergency inaugura Zakhem|Ferite|Wounds. La guerra a casa|When war comes home una mostra fotografica di Giulio Piscitelli, realizzata con il supporto di Contrasto. L’appuntamento, dalle 19.00 presso Casa Emergency (via Santa Croce 19), sarà arricchito da un incontro con Giulio Piscitelli, autore delle fotografie in esposizione, Gino Strada, fondatore di Emergency, Rossella Miccio, presidente dell’organizzazione e Giulia Tornari, curatrice.

La rassegna fotografica ripercorre il lavoro di Piscitelli che lo scorso anno ha visitato i Centri chirurgici per vittime di guerra di Emergency a Kabul e Lashkar-gah, in Afghanistan, dove l’organizzazione lavora dal 1999, prestando cure a quasi 6 milioni di persone nei due centri chirurgici, nel Centro di maternità di Anabah e nei diversi FAP (Posti di primo soccorso e Centri sanitari) situati in zone rurali e scarsamente collegate con gli ospedali principali.

Piscitelli ha incontrato le vittime di una guerra che continua da oltre 18 anni, dando loro un volto e un nome. Ne è scaturita una mostra di storie che parlano di una violenza che irrompe nella vita quotidiana, senza preavviso, che mostrano la ferita – zakhem, si dice in dari – provocata dalla guerra.

«Abbiamo scelto di festeggiare questi venticinque anni mostrando a tutti, attraverso le foto di Giulio, quello che fa Emergency fin dalla sua nascita – spiega Gino Strada -. Curando le vittime, anno dopo anno, abbiamo capito una cosa semplice. Che qualunque siano le armi, qualunque siano i motivi, la guerra ha sempre la stessa faccia: morti, feriti, gente che soffre. È trovandoci di fronte ogni giorno la sofferenza di centinaia di esseri umani, che abbiamo iniziato a maturare l’idea di una comunità in cui i rapporti siano fondati sulla solidarietà e il rispetto. Una società che faccia a meno della guerra, per sempre».

La mostra, ideata nell’ambito del progetto “NO ALLA GUERRA, per una società pacifica e inclusiva rispettosa dei diritti umani e della diversità fra i popoli”, è realizzata grazie al contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, resterà visitabile fino al 9 giugno, dal lunedì al giovedì, dalle 12.00 alle 19.00, il venerdì, dalle 12.00 alle 20.00, sabato e domenica, dalle 10.00 alle 20.00. Per info eventi.emergency.it.

Zakhem | Ferite | Wounds. La guerra a casa | When war comes home

Da domani al 9 giugno
Casa Emergency
Via Santa Croce 19, Milano

Dal Lunedì al giovedì dalle 12.00 alle 19.00
Venerdì dalle 12.00 alle 20.00
Sabato e domenica dalle 10.00 alle 20.00

eventi.emergency.it

Si festeggia anche all’ex Fornace
Si chiama I progetti umanitari di Emergency ed è un’altra mostra organizzata a Milano per far conoscere, attraverso le fotografie, le attività di Emergency in Italia e nel mondo, nell’ambito del venticinquesimo compleanno della fondazione dell’organizzazione. La rassegna, ad ingresso gratuito, è allestita fino a lunedì prossimo, 20 maggio, presso lo spazio ex Fornace, in via Alzaia Naviglio Pavese 16. PDR

«Milano è la speranza del Paese»
La presidentessa Rossella Miccio: «La sensibilità di questa città andrebbe esportata»

Piermaurizio Di Rienzo

Da meno di due anni Rossella Miccio è presidente di Emergency. Prima ha lavorato a lungo in Afghanistan, uno dei teatri di guerra un po’ dimenticati dall’opinione pubblica che, negli ultimi anni, ha erroneamente pensato che il Paese avesse raggiunto una parvenza di normalità. Al contrario, spiega proprio la numero uno della Ong, la situazione è andata peggiorando».

Perché ci siamo dimenticati dell’Afghanistan, al quale dedicate la mostra dei venticinque anni?
«Ci sono stati spiragli di pace. Ci sono ancora negoziati che vanno avanti, offrendo la sensazione che possano sbloccarsi. La realtà, però, è molto diversa».

La descriva…
«Un recente rapporto delle Nazioni Unite ci indica come nel primo trimestre 2019 siano aumentate le vittime della guerra, dei bombardamenti, rispetto a quelle degli attentati. Non solo. Ci dicono che il 90% delle vittime sono civili e registriamo il 300 per cento dei feriti di guerra in più rispetto al 2010. E ancora: un paziente su tre nei nostri ospedali, che abbiamo dovuto ampliare, ha un’età minore di 14 anni».

Insomma, è un vero e proprio teatro di guerra?
«La situazione è peggiorata nonostante non se ne parli, è drammatica. Noi ci auguriamo che possa esserci una svolta, perché quello è un Paese letteralmente stremato».

Emergency aiuta le vittime di guerra e promuove attività di sensibilizzazione in Italia: c’è una sfida più impegnativa dell’altra?
«Intanto siamo fieri dei riconoscimenti internazionali per il nostro lavoro: le Nazioni Unite ci hanno citati come modello da seguire per garantire uno sviluppo sanitario. In generale, vediamo che c’è sempre più bisogno di concentrarci sulle attività culturali qui a casa nostra, perché manca una voce forte e autorevole che ci ricordi i principi e i valori che dovrebbero garantire una vita in pace e in armonia».

Come fare sentire questa voce?
«A partire dalle scuole, raccontando la tragedia della guerra e delle discriminazioni ai nostri figli. Anche la mostra che inaugureremo domani a Milano è uno strumento che ci serve per fare conoscere la guerra, che sembra qualcosa di lontano da noi, ma è una realtà senza confini. Anche perché la gente che scappa dalla guerra viene a casa nostra, o almeno provano a venire qui».

La Libia torna ad allarmarvi?
«Sembra presuntuoso, ma noi l’avevamo detto: nel 2011 eravamo andati in piazza per dire no alla guerra in Libia, sapevamo che ci sarebbe stata una ricaduta pesante in Europa, visto che banalmente condividiamo lo stesso mare».

Invece…
«La miopia della politica è andata avanti. Noi in Libia ci abbiamo lavorato e conosciamo benissimo quella realtà, estremamente instabile. Non esistono autorità che abbiano controllo completo del territorio e c’è in circolazione una vasta quantità di armi».

È preoccupata dalla reazione dell’opinione pubblica italiana di fronte al fenomeno migratorio?
«Sono preoccupata da questo diffondersi virale di egoismo, razzismo e di atteggiamenti fascisti che non avrei mai pensato potessero avere così tanta presa. La nostra storia è una storia di apertura, di migrazioni e di scambio, dovremmo avere anticorpi per reagire a questa indifferenza e odio montanti, alimentati dalla politica urlata».

Vi siete sentite disprezzati?
«C’è un disprezzo dell’altro e la criminalizzazione per chi cerca di aiutare, dalle ong agli individui singoli. E’ pazzesco puntare il dito contro chi vuole tendere una mano a chi è in difficoltà».

Siamo un Paese più razzista di quel che pensiamo?
«C’è una politica che strumentalizza le paure e le difficoltà reali. Invece di risolvere problemi veri, come la criminalità organizzata, la disoccupazione o il sistema sanitario, si punta il dito sul diverso, si alimentano paure molto spesso ingiustificate, si osanna la chiusura dei porti come se rafforzasse i nostri diritti».

Milano è l’avamposto di chi vuole ribellarsi a questa cultura egoistica?
«Milano ha dato tantissimi di speranza al Paese, ne va dato atto ai suoi cittadini, a partire dal sindaco. Non è una città facilissima, ma da qui partono messaggi di coesione, di collaborazione e di rispetto verso i più deboli che sono esempio per tutti. Noi qui ci lavoriamo, abbiamo un laboratorio mobile che ormai da tre anni opera nelle periferie della città, lo facciamo in perfetta collaborazione con le istituzioni. E’ una sensibilità che va valorizzata e ci piacerebbe vedere esportata».

Come descriverebbe in poche parole Casa Emergency?
«Una struttura sempre aperta alla cittadinanza, uno spazio per eventi, incontri, mostre, proiezioni, dibattiti: in quest’ultimo anno e mezzo migliaia di persone sono venuti a trovarci e hanno partecipato ai nostri appuntamenti. E’ un ulteriore strumento per potenziare il nostro messaggio culturale».


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