Da Armani a Moncler: sarà la Galleria dei Paperoni?

Galleria Vittorio Emanuele
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Da “Salotto dei milanesi” a “Gallina dalle uova d’oro del Comune”. La valorizzazione della Galleria Vittorio Emanuele II va a gonfie vele per le casse di Palazzo Marino che, con i nuovi bandi, ottiene due risultati: incassa molto più gettito in canoni d’affitto e porta nel cuore del centro di Milano i grandi brand del lusso.

 

L’ultima. Con un’offerta di 1,9 milioni di euro di affitto annuo, Giorgio Armani Retail si è aggiudicata il negozio Tim nell’Ottagono. Dopo 24 rilanci nella gara all’incanto, con una base d’asta di 670.440 euro, che si è tenuta negli uffici del Demanio, il noto marchio della moda ha superato la concorrenza di Tod’s aggiudicandosi per i prossimi 18 anni un locale da 302 metri quadri (si partiva da una base d’asta di 670.000 euro).

Dalla Francia. E’ stato assegnato, in via provvisoria, anche il locale di 95 metri quadrati attualmente in uso a Stefanel. Ad aggiudicarsi la gara, dopo un’asta che aveva visto undici proponenti, è stata Longchamp Italia, noto marchio francese che propone abbigliamento e accessori e che ha offerto 760.00 euro di canone annuo partendo da una base d’asta di 175.000 euro.

In questo caso il primo classificato aveva presentato un’offerta leggermente inferiore al secondo ma sul punteggio complessivo, fornito dalla commissione tecnica, ha pesato la qualità dell’offerta commerciale.

Made in Italy. Nel 2020 ci sarà nuova vita anche per l’ex Urban Center, spazio da tempo assegnato a Moncler, unico partecipante alla gara pubblica indetta dal Comune. Il marchio, noto per i capispalla invernali, aveva offerto 2,5 milioni di euro di canone annuo a fronte di una base d’asta di 1,2 milioni di euro (unica offerta presentata).

Anche in questo caso il nuovo contratto durerà 18 anni. E’ recente anche il rinnovo per dodici anni per il locale “Cafè Restaurant e Galleria”, dopo un’istruttoria che ha confermato la storicità dell’attività, presente in Galleria con la stessa insegna dal 1968.

Valorizzazione. Insomma, la Galleria continua a suscitare interesse da parte delle realtà commerciali più in vista, portando anche fermento fino a tarda sera: il prossimo febbraio compirà due anni di attività il nuovo ristorante di Carlo Cracco, che al piano terra ospita un bistrot aperto fino a mezzanotte.

E a proposito di ristorazione, ci sarà la firma di un altro stellato, Davide Oldani, nella proposta del nuovo Camparino, in fase di restyling. Il ruolo esecutivo spetterà ad uno dei suoi cuochi al D’O, Marco Marini.

In salvo. Chi può tirare un sospiro di sollievo, invece, è la boutique di Luisa Spagnoli diventata da poco una “Bottega Storica”. Presente dal 21 maggio 1968 con l’iconica insegna nera e lucida con la scritta in corsivo, scritto in oro, il brand di abbigliamento femminile può così proiettarsi nel futuro con i vantaggi che vengono riconosciuti anche nei bandi di gara a chi ha il riconoscimento della storicità.

In cassa. Per capire il cambio di rotta bastano pochi numeri. Nel 2007 il Comune incassava 8 milioni di euro dagli affitti dei negozi in Galleria, oggi si è passati a 36 milioni. Il motivo è semplice. Tutto merito dei bandi che hanno soppiantato i rinnovi, spesso fin troppo agevolati, delle precedenti amministrazioni.

L’obiettivo di questa giunta, infatti, è di arrivare ad oltre 40 milioni di entrate dai canoni della Galleria entro il 2020. E c’è già chi trema in vista dell’apertura di nuovi bandi per il rinnovo di spazi nel prossimo anno: le ultime stime dall’Agenzie delle Entrate per il Comune parlano di un valore di 1.850 euro di affitto al metro quadro. Chi oggi paga sensibilmente di meno, è pronto a preparare gli scatoloni per il trasloco.

I NUMERI

36 milioni di euro,

i ricavi del Comune da canoni d’affitto in Galleria

8 milioni di euro,

i canini incassati dal Comune nel 2007

40 milioni di euro,

l’obiettivo fissato da Palazzo Marino per il 2020

1.850 euro,

l’affitto al metro quadro stimato dall’Agenzia delle Entrate per la Galleria

La lite con la Regione
Ricorso pendente al Tar sui negozi storici

Il Comune di Milano ha presentato ricorso al Tar per impugnare la delibera di Regione Lombardia sulle premialità per le attività storiche e tradizionali nel rilascio delle concessioni degli spazi demaniali. La delibera n. XI/2043 della Giunta Regionale, infatti, attribuisce ai Comuni la facoltà di assegnare gli spazi pubblici ad attività storiche per affidamento diretto.

L'assessore Roberto Tasca
L’assessore Roberto Tasca

Se i Comuni non si avvalgono di tale facoltà e procedono all’assegnazione con bando pubblico, la delibera impone alle Amministrazioni locali l’obbligo di predisporre specifiche premialità (incrementi con percentuali non inferiori al 40 per cento sulla valutazione complessiva) riservate alle attività commerciali e artigianali storiche e di tradizione iscritte nell’elenco regionale.

Attività con almeno quarant’anni di attività presenti su tutto il territorio della città. Secondo il Comune, il provvedimento regionale – come da parole dell’assessore Roberto Tasca di Palazzo Marino – «rivela intendimenti politici medioevali». E ancora: «Il Comune di Milano non intende contestare la facoltà di deroga delle gare in favore dei locali storici ma contesta, perché illegittima, l’introduzione di una deroga generalizzata attraverso un provvedimento regionale che sembra imporre l’alterazione delle condizioni di gara ogni volta che il locale sia classificato come storico».

Secondo il Comune infatti la deliberazione della Giunta regionale contrasta le norme nazionali che riservano alla competenza dei Comuni le funzioni amministrative in tema di gestione dei beni comunali e dell’attività di commercio sul territorio cittadino.

«In particolare – aggiunge Tasca – la deliberazione contrasta con tali norme nella parte in cui impone ai Comuni l’obbligo di prevedere specifiche premialità nei bandi di gara per l’assegnazione di immobili di loro proprietà, senza lasciare agli organi comunali alcuno spazio di discrezionalità a riguardo. Così la Regione si sostituisce arbitrariamente ai Comuni nella valutazione degli interessi pubblici dei locali di sua proprietà. Un’intromissione che non possiamo accettare».


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