Le grandi incompiute: situazioni “al palo” a Milano

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Nella città più internazionale d’Italia, motore dell’economia, della finanza, quasi sinonimo di efficienza, ci sono situazioni di incompiute che, nonostante gli sforzi del Comune, non si riesce a superare. Si tratta di palazzi storici della città conosciuti anche all’estero, o di aree importanti abbandonate da decine di anni e finite in stato di abbandono.

Il caso più eclatante è quello del Teatro Lirico, costruito nella seconda metà del ‘700 su input dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria che si trova oggi alle prese con una infinita ristrutturazione. Ci sono anche altri esempi, a dimostrazione che a volte non basta un’amministrazione capace, privati sensibili e comitati di cittadini solerti per venire a capo di situazioni contorte che con gli anni diventano sempre difficili da districare.

Il caso Lirico
Il teatro Lirico, detto “la Cannobiana”, viene inaugurato un anno dopo il Teatro alla Scala, la sera del 21 agosto 1779, con uno spettacolo e musiche di Salieri. Per due secoli svolge il ruolo di secondo teatro della città, nel dopoguerra diventa un importante centro culturale. Nel 1960 il Comune lo concede al Piccolo Teatro di Paolo Grassi e Strehler, per il quale funziona come “sala grande”.

Si apre un’importante stagione di opere di Brecht, di balletto, di concerti di Giorgio Gaber, Mina, Vinícius de Moraes e di manifestazioni politiche, fino agli anni Novanta, quando una crisi finanziaria ne provoca la chiusura, situazione che non è cambiata dopo 20 anni. Andati a vuoto alcuni tentativi di recupero con i privati, nel 2016 è partita la riqualificazione ad opera del Comune che, a causa di diverse complicazioni durante i lavori, non si è ancora conclusa (dovrebbe avvenire ad agosto).

Ancora più ingarbugliata la partita sulla gestione: un ricorso del secondo arrivato al bando sta paralizzando la consegna del teatro, l’ultima parola spetta al Consiglio di Stato cui si è arrivati dopo una serie di ricorsi e controricorsi.

L’ex ospedale Bassi
L’ospedale Bassi fu inaugurato il 13 ottobre del 1896 e venne intitolato ad Agostino Bassi, naturalista, botanico e pioniere della moderna batteriologia. Il primo paziente fu un bambino di 4 anni colpito da difterite; l’ultimo un uomo di 45 ammalato di vaiolo ricoverato il 30 maggio del 1979. In poco più di 80 anni di vita, la struttura accolse e curò oltre 150 mila pazienti affetti da malattie oggi per fortuna quasi del tutto debellate: vaiolo, colera, tifo e meningite.

Vasto 60 mila metri quadrati, è un lotto isolato oggi compreso fra via Guerzoni e via Livigno, nel cuore del quartiere di Dergano. Nonostante il forte livello di degrado e abbandono, i muri anneriti dallo smog e i padiglioni mezzi diroccati sono ancora in grado di raccontare la storia dimenticata dell’ultimo lazzaretto di Milano.

L’idea di un recupero è affidata alle proposte progettuali formulate da un gruppo di studenti della Scuola di architettura del Politecnico di Milano, che prevede aule, laboratori, sedi di associazioni, spazi per il coworking e per esposizioni temporanee.

Il “buco” di Baggio
L’istituto Marchiondi venne fondato nell’Ottocento, con la finalità di educare i ragazzi difficili, di fornire loro e ai figli provenienti di famiglie disagiate un minimo di formazione scolastica e professionale.

L’edificio originario, in via Quadronno al civico 26, durante la Seconda Guerra Mondiale venne colpito duramente dai bombardamenti riducendolo in macerie. Si decise una nuova sede e la progettazione venne affidata all’architetto Vittoriano Viganò, allievo di Giò Ponti. Il nuovo istituto di educazione fu quindi trasferito a Baggio in via Noale nel 1957 assumendo la denominazione Marchiondi Spagliardi: è considerato un capolavoro «brutalista», dove è possibile trovare persino un plastico del progetto esposto al Moma di New York.

La struttura venne chiusa nel 1970 e da alcuni anni quegli edifici sono sottoposti a vincolo della Sovrintendenza ai beni architettonici che ha contribuito non poco al totale degrado in cui si trova e al fallimento di un tentativo di riqualificazione del Politecnico.

La querelle piazza d’Armi
Negli anni Trenta a Baggio vennero eretti la Caserma Santa Barbara e l’Ospedale Militare realizzando così uno dei più estesi complessi militari cittadini esistenti in Italia. Per quasi 50 anni l’area verde è stata usata per l’addestramento dei militari e per manovre con carri armati. Da vent’anni la caserma è dismessa, una porzione dell’area è stata utilizzata in via esclusiva come campo da polo e nella parte ormai priva di controllo cittadini e senzatetto hanno costruito orti e baracche.

Tuttavia, la più grande porzione dell’area verde si è trasformata in un bosco spontaneo con flora e fauna selvatica. Il Ministero della Difesa, titolare dell’area vasta 42 ettari, ha affidato a Invimit il compito di valorizzarla, ossia di individuare un soggetto che voglia rilevarla: dopo un bando andato deserto, è sul tavolo la proposta delle associazioni ambientaliste di realizzare un parco con servizi. Altra ipotesi uno scambio di volumetrie con l’ospedale San Carlo che consentirebbe di costruire all’acquirente.

«Bisogna sempre stabilire le priorità»
Zecchi: «La coralità è il metodo migliore per affrontare i problemi»
Filosofo, docente di estetica, ex assessore alla Cultura a Palazzo Marino. Poche persone come Stefano Zecchi possiedono gli strumenti per giudicare le tante incompiute che si trovano in città: questo è il suo punto di vista per Mi-Tomorrow.

Professore, su quale situazione si è dovuto cimentare?
«Ricordo bene il Lirico».

Come l’affrontò?
«La Scala era stata chiusa per consentire l’opera di restauro e ritenevo che sarebbe stato importante riaprire il Lirico».

Perché il tentativo non riuscì?
«Bisognava affrontare diverse situazioni, ovvero la concessione e il restauro del teatro: feci un tentativo con l’allora titolare dello Smeraldo, Longoni, ma non se ne fece nulla, non si riuscì a stabilire un rapporto con lui».

C’era qualcun altro interessato?
«Sì, Dell’Utri voleva prenderlo, ma anche in quel caso non si combinò nulla».

Il Lirico è ancora oggi chiuso…
«Passo spesso in via Larga e quando lo vedo mi prende una grande tristezza. Detto questo su un’incompiuta sono intervenuto con successo».

Quale?
«Il teatro degli Arcimboldi, che era chiuso e io lo aprii».

Burocrazia, interessi privati, vincoli architettonici: quali è l’ostacolo più difficile per il recupero delle strutture storiche della città?
«E’ vero che la burocrazia non semplifica, può anche esserci una mancanza di risorse ma spesso il maggior ostacolo è la mancanza di volontà. C’è poi un altro aspetto importante da considerare».

Di cosa si tratta?
«Bisogna sempre considerare la tassonomia, stabilire le priorità: quando ero assessore lo erano la Scala e gli Arcimboldi che, lo assicuro, erano due belle gatte da pelare. Andò tutto bene tant’è che oggi sono due gioielli».

Qual è il segreto per raggiungere risultati positivi?
«Fare prevalere l’intelligenza e l’educazione estetica, riuscire nella combinazione virtuosa tra conservazione e sviluppo: è ciò che consente la capacità di gestire il patrimonio artistico contemporaneo».

Come si riesce a favorire queste situazioni virtuose?
«Non è facile, ci vuole anche molta elasticità».

Spesso sotto accusa è la Soprintendenza che pone vincoli troppo stringenti: cosa ne pensa?
«Loro sono sempre determinati, ma il problema vero è che il confronto spesso si fa senza possedere le competenze: io la competenza ce l’ho e non ho mai avuto problemi con la Soprintendenza che allora era guidata da Artioli».

Un’altra storia incompiuta è la Grande Brera.
«Per me è un punto dolente, io ero presidente dell’Accademia delle Belle Arti, c’era il progetto del trasferimento in Bovisa: ricordo che arrivammo al protocollo d’intesa con i ministeri della Pubblica Istruzione e delle Belle Arti ma poi non si andò avanti».

In queste situazioni il Comune quale ruolo può svolgere?
«Sono stato assessore con Albertini che aveva come modello Agnelli secondo il quale vince la squadra e non il singolo. Poi ci sono i casi dei sindaci solisti, tipo la Moratti o il sindaco di Venezia Brugnaro che conosco in quanto sono stato consigliere comunale nella città lagunare».

Lei propende per il modello Albertini?
«Certo, la coralità è il metodo migliore per affrontare i problemi».

Per sbloccare le situazioni più intricate ci vorrebbero poteri straordinari?
«Guardi che i sindaci dispongono di molti poteri, possono decidere vita e morte degli assessori».

Milano rischia di sporcarsi l’immagine con tanti casi di incompiute?
«Milano è una grande città, queste cose ci possono stare. E comunque è sempre un passo avanti rispetto alle altre».

VOX POPULI

A cura di Edoardo Colzani

Gioele Stella
24 anni, cuoco
Non ero a conoscenza di opere incompiute a Milano che avrebbero bisogno di essere rimesse a nuovo. Credo in ogni caso che in generale, l’abbandono di certe strutture sia da attribuire all’Amministrazione che probabilmente preferisce utilizzare i soldi per altre priorità. A me piacerebbe poter ridestinare queste strutture a progetti per i giovani e all’inclusione sociale, dato che in certe aree periferiche ce n’è bisogno.

Graziana P.
80 anni, pensionata
Conosco il teatro Lirico e mi spiace che un tale tempio della cultura sia abbandonato. Spero che torni presto al suo antico splendore. Credo che a volte certe opere restino abbandonate per anni per indifferenza. I politici fanno propaganda per convenienza e i cittadini intraprendono battaglie che poi non portano avanti sino in fondo. Sarebbe bello utilizzare strutture abbandonate per progetti d’integrazione.

Simone Bonetti
20 anni, impiegato
Frequento la zona di Baggio e ho sentito qualcosa a riguardo del Marchiondi, seppur non sono a conoscenza dell’intera vicenda. Credo che i ritardi siano dovuti a questioni prettamente burocratiche, tra le lunghe tempistiche degli appalti e qualche irregolarità. Milano offre più possibilità rispetto ad altre città, ma se c’è da proporre un progetto, consiglierei di fare qualcosa per gli anziani o per i disabili.

Serena Bianchi
21 anni, inoccupata
Onestamente non conosco opere in città che avrebbero bisogno di essere rimesse a nuovo. A me piace Milano ed il modo in cui è gestita. I ritardi nella riqualificazione di una struttura pubblica penso siano dovuti a questioni più ampie, come del resto succede per altre situazioni sul territorio nazionale. Sarebbe utile attuare nuovi progetti finalizzati all’inserimento lavorativo, molti giovani fanno fatica a trovare opportunità.


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