Porte aperte: ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta l’ambiente

Strada dopo strada, abbiamo battuto le dieci grandi zone commerciali della nostra città: ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta di più l’ambiente

Aperte o non aperte: un dilemma che non tramonta, anzi. L’onda green partita da Palazzo Marino pare essersi rallentata sul nodo delle porte dei negozi nelle vie del commercio: riscaldamenti “a palla” all’interno, porte aperte per invogliare la clientela e l’ambiente ringrazia.

 

«Abbiamo misurato la temperatura nei negozi – aveva spiegato il presidente della Commissione Ambiente Carlo Monguzzi in occasione del flash mob del 17 gennaio –: la media è di 32 gradi, quando in città ce ne sono circa 10. Questo non significa che ce l’abbiamo con i negozianti, ma si tratta di uno spreco vero e proprio».

Non solo spreco di energia però. La stessa anidride carbonica che fuoriesce dagli esercizi commerciali sta inevitabilmente incrementando l’inquinamento atmosferico del capoluogo lombardo, già martoriato dalla situazione meteorologica di un inverno considerato ormai “grande assente” del 2020, come non mai arido di precipitazioni.

Che le condizioni dell’aria milanese siano da tenere sotto controllo è ormai cosa nota, dato che sono settimane che il Comune impone limitazioni al traffico e pura una domenica ecologica. Macchine, caldaie a gasolio e, appunto, anche l’esagerato uso del riscaldamento nei negozi poi tenuti a porte spalancate.

Una polemica antica, che conta anche precedenti “blitz” da parte di Legambiente che hanno portato a giugno del 2017 a far approvare dalla giunta una mozione. Insomma, non solo i cittadini, ma anche i politici milanesi sono favorevoli a chiudere le porte ai negozi; come spesso accade in Italia però il difficile è far rispettare il provvedimento.

O meglio, controllare che lo stesso venga rispettato. I commercianti, dal canto loro, replicano che con le porte chiuse gran parte dei clienti non entrerebbe. Un motivo squisitamente economico dunque. E così la ricerca del rimedio che si trasforma in paradosso: quelle cosiddette “lame d’aria” sparate dall’alto all’ingresso dei negozi, che tipicamente ti scompigliano i capelli quando entri. Queste dovrebbe impedire all’aria calda (in inverno, e a quella fredda d’estate) di propagarsi all’esterno, riducendo dell’80% la dispersione.

Tuttavia, per le associazioni ambientaliste, le lame d’aria consumerebbero ancora più energia, addirittura il 25% in più. Dunque, un rimedio che finisce per diventare un problema ancora più grosso. Ma succede davvero questo a Milano? Tutti gli esercizi tengono le porte aperte? Abbiamo quindi deciso di fare un giro nelle principali dieci vie commerciali meneghine e verificare l’atteggiamento dei negozi anti. Ma soprattutto la posizione dei milanesi di fronte a questo dualismo.

ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta di più l’ambiente
ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta di più l’ambiente

In centro. La prima tappa del tour è corso di Porta Ticinese, punto di riferimento per lo shopping dei più giovani, nel quale il vintage e lo stile hipster fanno da padroni. Forse proprio per via della tendenza più consapevole e “green” del target e della clientela stessa, in questa zona di ingressi aperti se ne contano veramente pochi (meno del 20%).

Porte aperte in centro
Porte aperte in centro

Ma la situazione cambia proseguendo il percorso e superando largo Carrobbio e inoltrandosi in via Torino. Qui la percentuale delle porte spalancate si alza vertiginosamente, in particolare in tutte quelle rivendite di abbigliamento, moda e cosmetica. La fuoriuscita di calore si tocca con mano passeggiando lungo le vetrine: le ventate di aria climatizzata (e profumata, tipica delle boutique) è realmente palpabile. E così anche in corso Vittorio Emanuele: sotto la Galleria trovare entrate chiuse risulta praticamente impossibile.

Le eccezioni sono rappresentate dal tragitto che – attraverso via Orefici e via della Spiga – porta da piazza Duomo al Castello Sforzesco ma soprattutto da quello che si può definire uno dei vertici del “Quadrilatero della moda” milanese, ovvero via Montenapoleone e via della Spiga.

ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta di più l’ambiente
ecco dove, consapevolmente o meno, si rispetta di più l’ambiente

Qui anche per ovvie ragioni di sicurezza, le vetrine del lusso impreziosite dalle luccicanti insegne dei grandi brand si presentano rigorosamente serrate e controllate dai “buttafuori” vestiti di nero e con la cuffietta all’orecchio: le porte vengono aperte esclusivamente nel momento in cui i clienti si accingono ad entrare. Una soluzione questa che si rivela quella più vicina al giudizio dei cittadini: “Le porte aperte per far entrare più clienti? Non siamo mica negli anni ’50, se uno vuole comprare qualcosa entra anche se trova le porte chiuse.

Il Comune deve farle chiudere”; e ancora: “Dobbiamo preservare questa città, già ricca di fattori inquinanti. Se possiamo limitare l’inquinamento e gli sprechi almeno nei negozi è già un passo avanti”. E come dissentire.

L’asse Baires-Monza. Il tour per i negozi procede poi per viale Monza, uno dei più lunghi del capoluogo lombardo (già, dato che comincia da piazzale Loreto e prosegue letteralmente fino all’inizio di Sesto San Giovanni).

Qui più che rivendite e store di famose catene troviamo piccole botteghe ed esercizi privati di medio-piccola dimensione: bar e ristoranti, attività famigliari dedicate ad articoli casalinghi e numerosi street food e mini-market etnici, gli unici questi a tenere le porte perennemente aperte. Tutta altra storia in Buenos Aires, altra nota ramificazione di Loreto. Il corso – è risaputo – ricalca la tipologia dei retails di via Torino e di Vittorio Emanuele: punti vendita di celebri catene di abbigliamento e cosmetica, ovviamente con ingressi spalancati e relativa sensazione di calore passeggiando lungo il marciapiede.

Porte aperte da corso Vercelli a Chinatown
Porte aperte da corso Vercelli a Chinatown

Da corso Vercelli a Chinatown. L’ispezione si sposta più ad ovest: corso Vercelli – altro punto fermo dello shopping meneghino – prende le mosse degli altri più importanti viali commerciali del centro, anche se con meno esagerazione nello spreco di energia elettrica e nella dispersione di anidride carbonica.

Via Paolo Sarpi – principale arteria della Chinatown milanese – invece fa storia a sé: così come in viale Monza, procedendo troviamo piccole botteghe cinesi e ovviamente market e food shop etnici con una percentuale di porte aperte tendenzialmente bassa. Insomma, non tutti i commercianti sono “spreconi”. O meglio, ad esserlo lo sono maggiormente i grandi marchi di vendita e distribuzione.

Un paradosso, se consideriamo il motivo che spinge i negozi a tenere le porte aperte: accrescere l’affluenza e vendere di più. Insomma, ad inquinare Milano sono quei negozi già ricchi che vogliono diventare più ricchi. Mentre i piccoli negozianti, nonostante la maggiore necessità, si rivelano più scrupolosi e responsabili.