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28. 03. 2024 17:30

Amaro del cappio: domani flashmob della ristorazione che lotta per la sopravvivenza

Zini: «Per le attività di ristorazione, la Fase 2 rischia di prolungarsi almeno fino a fine anno: al momento non esistono le condizioni per riaprire»

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Amaro del cappio: il settore della ristorazione lotta per la sopravvivenza
Amaro del cappio: il settore della ristorazione lotta per la sopravvivenza

L’amaro, inteso come digestivo, è uno dei modi migliori (de gustibus, ovviamente) per concludere un pranzo o una cena fuori. Oggi l’amaro è, però, soprattutto il sapore e il sentimento con cui deve fare i conti il settore della ristorazione, alle prese con una crisi senza precedenti.

 

 

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Il settore della ristorazione lotta per la sopravvivenza

I numeri. L’emergenza coronavirus ha picchiato duramente sul comparto e anche la Fase 2, per molti sinonimo di speranza e di primo passo della ripartenza, ha qui tonalità decisamente più cupe. Per dare dei numeri, il settore dei pubblici esercizi, contando bar, ristoranti, pizzerie, catene di ristorazione, catering, pasticcerie, ma anche discoteche e stabilimenti balneari, si stima che a fine anno viaggerà sui 30 miliardi di euro di perdite e c’è il serio rischio – denunciano da Fipe-Confcommercio – di perdere 50mila imprese e 300mila posti di lavoro.

Futuro incerto. La ristorazione sarà tra gli ultimi settori a ripartire dopo il lungo lockdown, dal 18 maggio, e, quando ciò accadrà, è verosimile che si viaggerà a ritmi piuttosto ridotti a causa di un fermo pressoché totale del turismo internazionale e un rallentamento presumibile di quello italiano. Molti imprenditori, anche all’ombra della Madonnina, stanno maturando l’idea di non riaprire l’attività: il secondo semestre è un’incognita, non ci sono ancora certezze a livello normativo e le spese da sostenere sono alte tra affitti, tasse e costi extra per adeguare i locali in ottica protezione dipendenti e clienti.

Le misure. Sono, dunque, nubi nere quelle che si addensano sul cielo della ristorazione italiana, comparto da 85 miliardi di fatturato e 1.200.000 occupati, uno dei traini dell’economia tricolore. Le misure di sostegno per il settore ristorazione sono ritenute ancora gravemente insufficienti dagli operatori, che, accanto a un piano di riapertura con tempi e modalità certe, reclamano la possibilità di lavorare per asporto, ma, soprattutto, interventi sul tema soldi e tasse.

Le richieste. Si chiedono risorse a fondo perduto parametrate alla perdita di fatturato, una moratoria sugli affitti, la cancellazione di Imu, Tari, affitto suolo pubblico e altre imposte fino alla fine del periodo di crisi e la sospensione del pagamento delle utenze. Tra le proposte anche il prolungamento degli ammortizzatori sociali fino a fine pandemia, sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali, la reintroduzione dei voucher per il pagamento del lavoro accessorio e la concessione di spazi all’aperto più ampi nel periodo di convivenza con il virus, per favorire il distanziamento sociale e permettere agli esercizi di lavorare. Il Comune di Milano ha già aperto all’ipotesi di non far pagare la Cosap, l’imposta di occupazione del suolo pubblico, ma rischia di essere una piccola goccia dolce in un mare di amaro, tutt’altro che digestivo.

Il flashmob #RisorgiamoItalia ristoranti “aperti” per protesta

Appuntamento martedì alle 21.00 con #RisorgiamoItalia, la manifestazione nazionale di protesta organizzata dal Movimento imprese ospitalità (Mio), che raggruppa imprenditori del settore ristorazione, sigle di associazioni e gruppi spontanei nati sui social. «Accenderemo le luci e le insegne delle nostre attività – spiegano i promotori – e ognuno manifesterà con foto, videomessaggi e atti dimostrativi per sensibilizzare l’opinione pubblica circa le ragioni della nostra causa comune. Consegneremo poi le chiavi delle nostre attività ai sindaci dei vari comuni, chiedendo di “rovesciarle” sui tavoli del governo». Dal movimento arriva «un secco rifiuto a una modalità di apertura che ci consegna a un fallimento sicuro».

flash mob risorgiamo italia
flash mob risorgiamo italia


Zini (Confcommercio): «Troppi costi e incertezze. Molti rischiano di non riaprire»

«Siamo battaglieri, vogliamo riaprire e dare il nostro contributo a chi è chiamato a decidere, che dimostra di non conoscere le esigenze del settore. Rientra tutto nello stesso capitolo, ma ci sono diverse tipi di ristorazione: c’è quella con elevati processi di standardizzazione e c’è la ristorazione tradizionale, che non può garantire il rispetto di certe norme». Così a Mi-Tomorrow Alfredo Zini, titolare del ristorante Al Tronco, in zona Isola, e presidente del Club Imprese Storiche di Confcommercio Milano.

Alfredo Zini
Alfredo Zini

Esagerato dire che a oggi la Fase 2, per voi, sarà un prolungamento della Fase 1?
«Per come stanno oggi le cose sarà difficile avere una Fase 2».

Addirittura?
«Per le attività di ristorazione, la Fase 2 rischia di prolungarsi almeno fino a fine anno: al momento non esistono le condizioni per riaprire».

Quali le criticità maggiori?
«Il governo e le amministrazioni ci stanno dicendo di aprire senza, però, tagliare le spese. Si diminuiscono, invece, i posti a sedere e aumentano i costi per riorganizzare l’apertura dopo quattro mesi di chiusura».

Ci aiuta a capire meglio?
«Una realtà come la mia, di 200 mq, per ripartire nel rispetto delle norme richiederebbe un investimento di oltre cinquemila euro».

Per cosa?
«La sanificazione dell’ambiente, l’acquisto di dispositivi di protezione (mascherine, guanti, gel) per i dipendenti. Se i posti in sala, poi, vanno limitati, i tavoli e le sedie in più vanno ricoverati da qualche parte e molti non hanno un luogo ad hoc: devono affittare uno spazio? Ancora: le tovaglie. Quelle di lino e in cotone si possono usare o servono prodotti usa e getta?»

Ci sono anche i plexiglass ai tavoli…
«Costano dagli 80 ai 100 l’uno: con una ventina di tavoli, si parla di duemila euro per oggetti che probabilmente tra pochi mesi, si spera il prima possibile, si dovranno buttare via. Se si somma tutto, si raggiunge una spesa che si fatica ad ammortizzare».

Molti ristoranti rischiano di non riaprire?     
«Purtroppo è così: la prospettiva di rimanere chiusi è seria». Se non si abbassano i costi fissi, non ci sono le condizioni per ripartire. In molte zone si sta utilizzando il delivery, ma si tratta solo di azioni di marketing per far capire ai clienti che si è presenti: non è una fonte di redditività».

Più certezze, meno costi: possiamo sintetizzare così?        
«Certo. Aggiungerei, però, anche il ruolo sociale».

In che senso? 
«Se io ho 4 dipendenti, che mi costano quattromila euro, ogni 16 del mese devo versare 3.200/3.500 euro di contributi: se lo Stato mi consentisse di pagare, al posto di questa somma, solo 1.000 euro si farebbe un’azione sociale».

Perché?
«Sgraverei lo Stato dall’onere di dover pagare queste persone, che inevitabilmente sarei costretto a lasciare a casa o a mettere in cassa integrazione prima o poi. Serve una cabina di regia per valutare strumenti e risorse da mettere in campo».

Consumi fuori casa: italiani pronti, ma prudenti

Voglia di ripartenza ma prudenza: a dirlo è l’indagine Il mercato Away From Home nel post coronavirus di TradeLab, che a inizio aprile ha sondato l’opinione di 800 persone tra i 18 e i 65 anni. 8 italiani su 10 torneranno a frequentare bar e ristoranti con cautela, solo quando potranno farlo in totale sicurezza; milanesi (18%) più prudenti dei romani (31%), in virtù della diversa intensità dell’emergenza sanitaria. Interessante notare come, per tornare alla normalità, si sia disposti anche a ridurre la propria privacy, almeno all’inizio: 7 italiani su 10 si dicono disposti a trasmettere dati sensibili per tornare più velocemente a condurre una vita normale.

Sicurezza. I ristoranti sono percepiti più sicuri dei bar, per la maggiore possibilità di controllare le distanze. Si sceglieranno, in generale, locali conosciuti, gestiti da persone di cui ci si fida: il 45% del campione punterà sulla fiducia e la conoscenza personale del gestore; il 70% frequenterà locali conosciuti o già frequentati in passato. Si premieranno strutture che sapranno garantire la presenza di pochi avventori in contemporanea (75%), una perfetta pulizia (59%), il rispetto delle norme (53%) e la distanza tra i tavoli (50%). Il 40% degli Italiani, anche se abbastanza preoccupato per la prossima recessione, non intende rinunciare al piacere di consumare fuori casa, ma un 39% del campione si dice disposto/costretto a limitare i consumi fuori casa.

Divisori plexiglass
Divisori plexiglass

Così in bar e ristoranti? Le proposte sul piatto

  • Dispositivi di protezione per il personale
  • Gel disinfettante all’ingresso
  • Sanificazione degli ambienti
  • Distanziamento minimo tra i tavoli
  • Divisori in plexiglass sui tavoli
  •  Ingressi contingentati e somministrazione su più turni
  • Menu digitale, tovaglie monouso e portapane bio
  • Più delivery e asporto

Le proposte della Rete della ristorazione italiana per ripartire 

  1. Cancellazione delle imposte nazionali e locali pertinenti; credito per utenze relative alle attività commerciali; rateizzazione dei pagamenti degli acconti Ires, Irap previste a giugno e senza interessi
  2. Proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza al 23 febbraio fino a fine anno
  3. Sospensione di leasing, mutui e noleggio operativi fino a fine anno
  4. Armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l’accesso al credito.
  5. Credito d’imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31.12.2020 con 40% dell’importo a carico del locatario e misura semplificata (cedolare secca)
  6. Detassazione (straordinari) sulle risorse umane in organico, detassazione degli oneri contributivi e assistenziali e dei benefits sino al 30 giugno 2021.
  7. Possibilità estesa a tutto il comparto ristorazione di effettuare l’asporto
  8. Misure di sostegno a fondo perduto, ristori e indennizzi, per il periodo di chiusura obbligatorio imposto per legge dall’emergenza Covid-19 (pari al 10% del fatturato in relazione allo stesso periodo di riferimento).

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