I supermercati a Milano vietano l’acquisto di alcuni prodotti: c’entra la concorrenza sleale?

Supermercati a metà: perché? A Milano Esselunga e Carrefour vietano l’acquisto di beni non considerati di prima necessità: dipende dal decreto o dall’esigenza di evitare della concorrenza sleale?

Esistono beni di serie A e di serie B? È lecito chiederselo dopo che alcuni supermercati di Milano hanno disposto il divieto all’acquisto di determinati articoli considerati non di prima necessità. Dopo diverse segnalazioni, abbiamo verificato in alcune catene della grande distribuzione come Esselunga e Carrefour. E, partendo dall’insegna dei Caprotti, dopo aver superato le prime corsie solitamente adibite alla vendita di cibi freschi, abbiamo trovato il primo cartello posizionato accanto alle uova di cioccolato, nello scaffale dei giocattoli per bambini: «Informiamo la gentile clientela che non è possibile acquistare i prodotti presenti in quest’area».

 

 

Che effettivamente i giochi non siano un bene di prima necessità è difficile da confutare, che nel corso di una quarantena così complessa come quella che stiamo vivendo le famiglie non possano beneficiarne dell’acquisto è un tema che merita già più approfondimento.

I supermercati a Milano vietano l’acquisto di alcuni prodotti

Spiegazioni. Proseguiamo il giro. Pasta, sughi, biscotti e cibo per la colazione: tutto regolare. Fino ai casalinghi: tra pentole e strumenti da cucina campeggia un cartello ormai familiare. Per lo stupore di alcune clienti: «Deve decidere Conte se ho bisogno di una pentola?», commenta la signora Gilda. Che – e non è l’unica – cerca spiegazioni dai commessi del supermercato, più preoccupati a rispettare le misure di prevenzione piuttosto che a fornire risposte chiare: «Signora, lo dice il decreto. Non so cosa dirle, solo che per il momento non si possono comprare». Situazione analoga nel reparto dedicato alla biancheria intima e all’abbigliamento da camera: niente calzini, niente mutande, niente pigiami. Raggiunte le casse, un nuovo cartello vieta l’acquisto di caramelle, dolciumi da tasca, chewing-gum, ma anche di pile e di deodoranti per automobili. In questo caso i clienti non mostrano lo stesso stupore delle signore che necessitavano di padelle e tupperware, ma sguardi straniti che a volte valgono tanto quanto le parole.

Supermercati Esselunga
Supermercati Esselunga

Anche col nastro adesivo. Dopo i supermercati Esselunga, decidiamo di compiere un’ulteriore verifica in uno dei supermercati Carrefour. Ancora tutto “liscio” nelle prime corsie, riservate a prodotti di giornata e beni di primissima necessità come acqua e bevande, pasta e pane fresco. Fino, ancora una volta, ai casalinghi. Qui campeggia un cartello ancora più nutrito: «Si comunica che in ottemperanza al Decreto della Presidenza del Consiglio dell’11 marzo, non è consentita la vendita di questa categoria merceologica. Grazie per la vostra collaborazione». Ma non finisce qui: oltre all’invito cartaceo, anche del nastro adesivo ad “imballare” le scaffalature, così da impedire concretamente ogni genere d’acquisto. Situazione estrema, ma piuttosto ignorata dalla clientela almeno in questa specifica corsia. Reazioni ben diverse nel reparto degli articoli scolastici e della cancelleria.

Supermercati Carrefour
Supermercati Carrefour
SolidarietàApriti cielo. Mamme sbalordite per non poter comprare quaderni e matite per i propri ragazzi, impegnati nei rispettivi programmi di didattica a distanza. «Come fa mia figlia a fare i compiti?», chiede anche a noi la signora Gioia, mamma di due adolescenti. Sopraggiunge una guardia, impegnata nell’eventuale contingentamento degli ingressi secondo le disposizioni di sicurezza. Alla richiesta delle clienti, l’addetto aggiunge poco a quanto recitato già dai cartelli: «Il decreto dice questo. Non possiamo venderli, mi spiace». Un ragazzo consiglia di recarsi in altri supermercati, dove non sono previsti divieti d’acquisto per articoli di cancelleria. Qui, va detto, la scelta delle aziende della grande distribuzione potrebbe anche essere di sostegno e solidarietà alle cartolerie che, proprio per il decreto, hanno dovuto abbassare le saracinesche. Una volontà di evitare della concorrenza “sleale” – da estendere, ad esempio, all’abbigliamento intimo con la chiusura delle mercerie – che sembra, però, lasciare un po’ il tempo che trova.

I settori merceologici dei supermercati interessati dal divieto

Casalinghi
Pentole, stoviglie, posate, articoli da cucina, sartoria, asciugamani e tappeti

Piante e fiori

Dolci da tasca
Caramelle, chewing-gum, cioccolatini

Pile, batterie e lampadine

Cancelleria
Quaderni, penne, matite, fogli, pennarelli

Abbigliamento intimo e da notte
Calze, mutande, magliette intime, pigiami, vestaglie

Il chiarimento di Federdistribuzione: «Si crea un disservizio ingiustificato e non previsto dal decreto»

di Christian Pradelli

Secondo l’ultimo decreto governativo, non esistono restrizioni sulle «tipologie di merceologia», bensì sulle «tipologie di attività». E i supermercati devono svolgere regolarmente – e nella loro interezza – l’attività garantita alla clientela. È quanto conferma a Mi-Tomorrow Federdistribuzione, con una nota che chiarisce la posizione dell’ente nei confronti di quelle insegne della GdO che hanno iniziato ad apporre cartelli per evitare acquisti in aree considerate “non di prima necessità”.

Interpretazioni. «Secondo alcune interpretazioni – spiegano dalla direzione comunicazione –, le disposizioni emanate prevederebbero che nei giorni prefestivi e festivi siano chiusi i negozi non-food e che le rivendite food siano aperte, ma limitando la vendita ai soli generi alimentari. Ciò comporta una difficile operazione di non accessibilità al pubblico di alcuni reparti di merceologie di acquisto abituale – pensiamo a detergenti, saponi, shampoo, deodoranti, dentifrici, stoviglie, carta igienica, carta da cucina… – riducendo peraltro gli spazi calpestabili, utili per il mantenimento delle distanze previste».

Uscire due volte. Ma non finisce qui: «Chi pone divieti di acquisto su alcuni settori merceologici crea un disservizio per il consumatore, che per gli acquisti che non ha potuto fare nel fine settimana si troverebbe costretto a tornare nuovamente nel negozio nei giorni successivi. Come Federdistribuzione, continuiamo ad avere diversi contatti con tutti i livelli istituzionali per avere chiarezza sull’argomento e capire quali comportamenti debbano mantenere le imprese, tenendo conto delle diverse interpretazioni che ci vengono segnalate a livello locale».

Nel DPCM. Il riferimento assoluto è e resta il decreto governativo dello scorso 11 marzo: «Per quanto riguarda le aperture dei negozi, il DPCM ha chiaramente identificato delle tipologie di attività – attraverso i relativi codici Ateco – e non delle tipologie di prodotto. Ciò dovrebbe significare che le attività che possono aprire, ad esempio quelle alimentari, devono poter essere esercitate in ogni giorno della settimana nella loro complessità, senza limitazioni merceologiche di sorta, proprio per evitare l’ingestibilità dei negozi in questo momento così difficile. Nel supermercato le persone trovano beni alimentari e della quotidianità: se possono muoversi dal domicilio per andare a fare la spesa perché mai non potrebbero acquistare, essendo già in loco, i prodotti di uso comune e quotidiano in vendita nella struttura commerciale?».

Tre domande a Mauro Antonelli, Unione Nazionale Consumatori

Mauro Antonelli
Mauro Antonelli

È un problema di discrepanze nel decreto o di interpretazione del medesimo?
«Il problema è che come al solito hanno pubblicato un decreto scrivendolo in modo assolutamente poco chiaro. E, tanto per cambiare, hanno poi emanato circolari apparentemente più restrittive rispetto a quanto stabilito nel decreto stesso. Questa cosa è già avvenuta per quanto riguarda lo spostamento dei cittadini».

Come si sta comportando l’Unione Nazionale dei Consumatori?
«Abbiamo già sollecitato il governo e il ministero coinvolto a chiarire il più in fretta possibile provvedimenti che sono tra loro contraddittori. Ad esempio, se i ferramenta rimangono aperti, anche supermercati ed ipermercati devono trovarsi nella condizione di poter vendere le lampadine. Per il momento le nostre richieste non sono state ascoltate».

Una situazione paradossale, insomma.
«Esatto. E lo è per colpa di questi testi. Capiamo la difficoltà di scrivere provvedimenti con urgenza, ma almeno potrebbero poi porre rimedio ai testi emanati quando vengono sollevate obiezioni dalle categorie direttamente interessate».