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25. 04. 2024 07:57

Dal Buzzi a Porta Nuova: giusto fare affari con l’Arabia Saudita?

Milano è ormai sede principale degli investimenti in vari ambiti provenienti dal Golfo Persico

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Realizzare affari o, ancora peggio, accettare finanziamenti da paesi dittatoriali in cui manca il rispetto dei diritti civili come l’Arabia Saudita? Il tema non è nuovo ma si ripropone di continuo a Milano, sede principale degli investimenti esteri in Italia. L’ultima polemica è dovuta ai 350.000 euro stanziati dal colosso petrolifero saudita Aramco per sostenere l’ospedale Buzzi.

Milano sede di investimenti per l’Arabia Saudita, giusto fare questi affari?

Secondo Antonio Stango, nel 1987 fondatore del Comitato Italiano Helsinki e presidente della Federazione Italiana Diritti Umani (Fidu), «con Paesi come l’Arabia Saudita si può avere un rapporto, continuando però a denunciare le violazioni dei diritti umani e i movimenti anomali».

La posizione di Stango non è facile da osservare, la città è da anni un obiettivo di diversi paesi della penisola arabica che sono intervenuti in operazioni importanti come l’acquisizione del progetto di sviluppo di Porta Nuova a Milano nel 2015 ad opera del fondo Qatar Investment Authority del paese omonimo.

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Altri acquisti importanti, sempre firmati Qatar, sono stati realizzati sempre nel settore immobiliare con edifici storici come l’hotel Gallia di Milano e il Westin Excelsior. Il fondo Qia ha anche acquistato per circa 100 milioni la sede del Credit Suisse, di cui è azionista, in Via Santa Margherita. Nel campo della finanza basta solo ricordare che il principale azionista di Unicredit è Aabar Luxembourg, il fondo sovrano di Abu Dhabi.

Un’iniziativa di carattere diverso riguarda l’accordo tra il Gruppo ospedaliero San Donato e Brs Ventures Investment Ltd, capofila di Nmc Healthcare, primo gruppo ospedaliero degli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di un’operazione che ha una ricaduta anche in Arabia Saudita in quanto il Gruppo ospedaliero San Donato ha aperto una sede a Dubai, promuovendo corsi di formazione per medici locali.

I rapporti con gli arabi, insomma, sono consistenti e magari cresceranno ma sarà sempre più difficile ignorare le differenze che ci separano sul tema dei diritti civili. Com’è accaduto tre anni fa con la Fondazione Scala che prima ha accettato 3 milioni dall’Arabia Saudita e poi li ha restituiti dopo che la notizia si è diffusa con lo scandalo conseguente.

 

Bozzetti: «Non dobbiamo perdere una grande opportunità»

Giovanni Bozzetti: «Chiedono regole precise, le dilazioni sono d’ostacolo»

BozzettiEx assessore nella seconda giunta Albertini, imprenditore, Giovanni Bozzetti è uno dei massimi esperti dei processi di internazionalizzazione verso il Medio Oriente. Da Dubai, dov’è impegnato in Expo 2022 che si avvia alla conclusione, spiega a Mi-Tomorrow qual è l’approccio giusto verso i paesi della penisola arabica.

E’ corretto parlare dei Paesi arabi come fossero un’entità unica?
«No, ci sono differenze culturali e economiche importanti, faccio l’esempio degli Emirati Arabi Uniti che conosco bene che si distinguono per tolleranza e aperture considerevoli sul piano dei diritti. Anche in economia sono diversi, solo il 25 % del Pil si basa sul petrolio».

Qual è il livello d’interesse verso l’Italia e, in particolare, Milano?
«Grandissimo, ricordo l’incontro del mese scorso di Attilio Fontana con il ministro dell’Economia degli Emirati Arabi Uniti Abdullah Bin Touq AlMarri che ha posto le basi per una collaborazione sui distretti lombardi, in particolare Mind: sono interessati ai nostri cluster che vorrebbero ricreare in Arabia».

Questo significa opportunità per le nostre imprese.
«Le aziende milanesi sono già presenti ma ci sono ancora tanti spazi».

Cosa può frenare l’arrivo di investimenti arabi a Milano?
«Loro chiedono regole precise e certezze sui tempi, le dilazioni sono un ostacolo serio».

Perché non investono nel calcio, come fanno in altri paesi europei?
«L’interesse esiste, basti pensare che il Milan è sponsorizzato da Emirates e che un fondo sovrano saudita ha manifestato interesse per l’Inter».

E’ giusto realizzare affari prescindendo da ogni valutazione etica?
«Posso dire che per quanto riguarda gli Emirati Arabi Uniti non ci sono problemi sotto questo profilo. In generale dico che bisogna guardare alla fonte del denaro, se è lecita si possono fare gli affari».

Gran parte degli Stati della penisola arabica sono autoritari e non prevedono il rispetto dei diritti civili, in particolare quelli delle donne.
«Prima di giudicare bisogna conoscere le altre culture, non siamo tutti uguali. L’Arabia Saudita, su cui si concentrano le critiche di questo tipo, è comunque un paese in evoluzione, negli ultimi anni sono stati riconosciuti alle donne diritti molto importanti».

Sarebbe sbagliato, insomma, chiudere i rapporti per questioni etiche?
«Alla base di tutto c’è una cultura, dobbiamo cercare di capirlo. I paesi arabi si stanno aprendo, amano l’Italia e gli italiani anche perché si riconoscono in tre valori del nostro paese: la famiglia, l’impresa fondata su base familiare e la religione».

Le opportunità sono di gran lunga superiori ai rischi?
«Sì, soprattutto in questo momento di crisi con la Russia dobbiamo mantenere un legame con gli arabi».

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