Contagi in calo, Corrao (Bicocca): «Occorre ancora molta cautela»

Il professore dell'Università Bicocca: «La vita normale? Quando il 70% per cento della popolazione si sarà immunizzata naturalmente»

contagi in calo
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Mentre il numero dei contagi diminuisce leggermente, a Milano è stato inaugurato il nuovo ospedale in Fiera, destinato a occuparsi dei pazienti colpiti da coronavirus, con una dotazione di 200 medici, 500 infermieri e altre 200 figure professionali.

 

Contagi in calo, parla il professor Corrao

Giovanni Corrao
Giovanni Corrao

Questo dimostra quanto l’emergenza sia ancora ai massimi livelli e quanto l’attenzione continui a restare altissima. Come ribadisce Giovanni Corrao, docente di Statistica medica all’università di Milano-Bicocca.

Come sta evolvendo la situazione?
«Probabilmente le misure restrittive stanno cominciando a dare le attese risposte. La cautela è però d’obbligo per l’intrinseca difficoltà di dare risposte certe».

L’atteso picco è stato raggiunto?
«I numeri e le curve pubblicate dalle fonti ufficiali e istituzionali non possono che riferirsi ai contagi noti, accertati con il tampone. Questo vuol dire che siamo in grado di identificare tanti più contagi quanti più tamponi vengono effettuati, non solo quante più persone si infettano».

In Italia il tasso di mortalità resta comunque molto alto…
«Il tasso ci dice quante persone muoiono ogni cento infetti. Una Regione come la Lombardia, dove sono stati utilizzati rigidi criteri per sottoporre un individuo a tampone, soffre di un sotto dimensionamento del denominatore e quindi di un apparente alto tasso di mortalità.

Inoltre il ricorso massivo a cure ospedaliere, piuttosto che domiciliari, può aver favorito la diffusione del contagio, e con esso della mortalità. Infine, la possibilità di sopravvivere è strettamente legata alla disponibilità di un ventilatore polmonare. L’Italia all’inizio dell’epidemia disponeva di poco più di cinquemila dispositivi. Troppo pochi».

Molti focolai sono stati individuati negli ospedali. Come evitare altri problemi?
«Il problema si può affrontare con una oculata scelta del percorso terapeutico più adeguato per ogni paziente, indirizzando verso le cure domiciliari quelle persone che non corrono un immediato rischio di complicanze polmonari severe. Ma per fare questo è necessario disporre di strumenti prognostici adeguati in grado di ridurre l’incertezza di scelte che comunque sono drammatiche».

Alcuni farmaci stanno dando risultati positivi. Quando potremo contare su un vaccino?
«Sui farmaci abbiamo la necessità di un coordinamento centralizzato delle iniziative. Mi risulta che la nostra Agenzia, l’Aifa, stia pianificando uno studio nazionale in grado di testare contemporaneamente l’efficacia dei farmaci più promettenti.

Solo in questo modo possiamo sperare in una risposta rapida e altamente informativa. Sul vaccino la ricerca è in fase molto avanzata, non possiamo però immaginarne la disponibilità in tempi rapidi».

Le misure restrittive decise fino a questo momento sono sufficienti per arginare il contagio?
«Dobbiamo prepararci a rispettare queste misure ancora per molto tempo, forse per alcuni mesi. Il rischio è che in risposta a un calo dei contagi segua un rilassamento dell’attenzione alle misure. Ciò determinerebbe una nuova crescita dei contagi, con tutto ciò che consegue».

La Lombardia è stata la prima Regione a vivere questa emergenza. Questo vuol dire che sarà anche la prima a uscirne?
«E’ ancora presto per dirlo».

Passando alle scuole, quando potranno riaprire?
«E’ molto probabile che per quest’anno scolastico i ragazzi non potranno tornare sui banchi. Sollevo tuttavia un altro problema: l’accesso alle università, soprattutto per le facoltà a numero chiuso. Come fare? I test di ingresso a distanza non mi sembrano un’opzione perseguibile».

Alla luce di tutto questo, quando sarà possibile tornare a una vita normale?
«Quando il 70 per cento della popolazione si sarà immunizzata naturalmente, ovvero avrà sviluppato una risposta immunitaria conseguente all’infezione, spesso in assenza di sintomi. È proprio questo l’interrogativo che oggi ci poniamo, al di là delle statistiche ufficiali.

Quanti di noi hanno già sviluppato l’infezione? E soprattutto, quanto dura l’immunità naturale? In assenza di risposte scientificamente valide a queste domande, ho l’impressione che non possiamo dire quando potremo tornare a una vita normale».

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