Dianova, comunità di dipendenza allo stremo: «Non possiamo collassare»

Dianova offre supporto a persone con dipendenza da sostanze, droga e alcol. Pierangelo Puppo: «Ma ora rischiamo di avere persone per la strada che non hanno strumenti per potersi riabilitare in autonomia»

dianova
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L’emergenza coronavirus ha portato inevitabilmente ad una selezione tra attività più e meno imprescindibili. Alcune sotto gli occhi di tutti – come supermercati e farmacie -, altre meno conosciute, ma il cui lavoro è e resta fondamentale per la società. Un esempio lo si trova nelle comunità che ogni giorno ospitano persone in difficoltà, impossibile da abbandonare a loro stesse da un momento all’altro.

Tra queste c’è Dianova, che a Garbagnate, in provincia di Milano, offre accoglienza a uomini e donne con dipendenza da sostanze, droga e alcol. «Appena scoppiata l’emergenza abbiamo cercato di avere un atteggiamento prudente – racconta Pierangelo Puppo, presidente di Dianova Italia –: c’era il dovere di proteggere chi c’è all’interno delle nostre strutture e gli operatori che quotidianamente lavorano qui».

 

Dianova Italia, parla Pierangelo Puppo

Pierangelo Puppo

Quali sono stati i primi provvedimenti?
«Abbiamo subito cercato di dotarci di mascherine, all’inizio era quasi impossibile trovarle: ci siamo coordinati con le altre quattro strutture che abbiamo in Italia e in alcuni casi ci siamo ingegnati producendole noi con stoffa e garze all’interno. Poi abbiamo ampliato gli spazi comuni in modo da poter rispettare il distanziamento sociale. Queste cose le abbiamo fatte subito, senza aspettare ordinanze e decreti».

Come stanno reagendo gli ospiti delle comunità?
«Direi bene. All’inizio è stato un po’ complicato perché alcuni di loro non percepivano cosa stesse realmente succedendo. Abbiamo dovuto bloccare le uscite anche di chi era solito andare a trovare la famiglia o lavorare all’esterno della comunità».

Avete fermato le procedure per nuovi ingressi?
«Sì, sarebbe un’imprudenza fare entrare persone esterne che non sai da dove vengono, chi hanno frequentato e soprattutto se hanno avuto contatto o meno con il virus. Ma bisognerà ragionare su come riaprire gradualmente, perché fuori il problema delle dipendenze non è sparito, anzi. Queste persone non restano a casa, escono e vanno alla ricerca di sostanze».

Come vi state muovendo?
«Abbiamo scritto a tutte le ATS e alle Regioni per chiedere di poter fare un tampone a tutti gli utenti per i quali si richiede l’ingresso in comunità. Anche i test sierologici potrebbero dare garanzie».

State offrendo anche supporto psicologico?
«Abbiamo uno sportello di sostegno rivolto ai nostri lavoratori. Qualche collega è stato indirettamente toccato da questa situazione e ci è sembrato giusto provare ad offrire un aiuto. I centri d’ascolto sono ancora attivi online per chi era in procinto di entrare in comunità».

Il sistema rischia il collasso?
«Sì. E sarebbe devastante per tutti. Rischiamo di avere persone per la strada che, oltre a farsi del male da sole, non hanno gli strumenti per potersi riabilitare. Ed è un rischio grande anche per la popolazione. Servizi come i nostri offrono a loro la giusta accoglienza e la possibilità di cambiare vita, anche in questo momento storico».

Che situazione state affrontando a livello economico?
«Abbiamo avuto spese non previste, per i dispositivi di protezione abbiamo investito 10.000 euro. Stiamo registrando ritardi nei pagamenti delle rette che sono tutte sostenute dalle ASL e dalle ATS perché i nostri servizi sono tutti accreditati e questo ci mette un po’ in difficoltà, proprio sulla liquidità. Chiudendo gli ingressi non abbiamo poi fondi per il personale e nemmeno per le strutture che vanno comunque mantenute. Abbiamo calcolato un impatto di almeno 15.000 euro al mese, stiamo prendendo anche provvedimenti interni e alcuni lavoratori sono in cassa integrazione».

Com’è possibile sostenervi?
«Abbiamo attivi una serie di contatti con aziende per richiedere prodotti e dispositivi di protezione individuale. Stiamo anche cercando di mettere in piedi una campagna di raccolta fondi attraverso una piattaforma di crowdfunding che si chiama Rete del dono. Realtà come le nostre hanno sempre contato su finanziamenti pubblici, ma anche su tanta generosità. In questo momento abbiamo bisogno del singolo cittadino, ogni piccola donazione può fare la differenza».

Per donazioni: retedeldono.it

Dianova Italia, la storia

Dianova Italia, fondata nel 1984, è un’associazione Onlus che sviluppa programmi e progetti innovativi negli ambiti del trattamento della tossicodipendenza e del disagio giovanile. Sul territorio nazionale può contare su cinque comunità terapeutiche residenziali in grado di ospitare 167 persone e cinque centri d’ascolto divisi tra Lombardia, Sardegna, Marche e Lazio.

Nel corso dell’anno sono in media 350 le persone con problemi di dipendenza da sostanze accolte nelle comunità Dianova. La missione consiste nello sviluppare azioni e programmi che contribuiscano attivamente all’autonomia personale e al progresso sociale. L’associazione, inoltre, aderisce a Dianova International, un network presente in quattro continenti e membro ufficiale dell’UNESCO.

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