L’architettura, l’anima e la bellezza: il racconto di Giancarlo Marzorati

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Spesso guardiamo l’architettura che ci circonda con entusiasmo e curiosità. Forse meno spesso ci domandiamo chi siano gli artefici di tali meraviglie. Per soddisfare questa curiosità siamo andati a visitare lo studio di Giancarlo Marzorati classe 1946, architetto visionario e poliedrico che ha progettato, e continua a progettare, architetture di ogni genere e in ogni parte del mondo. Edifici di interesse storico come Villa Sormani e Villa Torretta, progetti di spazi d’interesse pubblico come l’Auditoriun di Milano e di Bologna, lo skyline, le piazze e le ex zone industriali di Sesto San Giovanni.

Ha lavorato con imprese come Alitalia e Oracle, oltre che per le grandi strutture ricettive come l’Hotel Barcelò di Milano e Aquardens in provincia di Verona, il sito termale più grande d’Italia. Un talento messo a totale disposizione della comunità e in particolare per la sua Sesto San Giovanni, dove è nato e cresciuto, dove si trova il suo studio e dove ha firmato la riqualificazione della Campari. Oggi cosa bolle in pentola? A Monza, oltre ad aver riqualificato gli interni della chiesa Sacro Cuore, sta realizzando un organo con 2.035 canne, che sarà inaugurato a febbraio.

Dove nasce la sua ispirazione?

«Io faccio cose molto diverse perché il bello per me è un piacere. E la nostra anima ha bisogno di bellezza. Io disegno quotidianamente, anche se non ho un progetto da realizzare. Mi ispira tutto, mi guardo intorno e trovo sempre nuovi stimoli».

Sempre in movimento…

«In realtà progetto sempre. Mi sforzo sempre di fare cose diverse, non è vero che tutte le volte parti da zero: il tuo vissuto influenza sempre il risultato, non puoi fare cose avulse da te stesso, cerco sempre di proporre architetture diverse. Con il mio lavoro vorrei educare alla bellezza».

Ha progettato la riqualificazione della Campari: è stato il lavoro più gratificante?

«Assolutamente sì. E’ stato un lavoro importante e gratificante, insieme a Mario Botta (da sempre caro amico), abbiamo demolito tutto quanto, lasciando solo la facciata antistante, creando quattro torri residenziali, complessi per uffici e un’area verde adibita a parco pubblico. E’ una struttura tecnicamente molto all’avanguardia».

L’ultimo progetto è per la chiesa Sacro Cuore di Monza: com’è nato?

«Torniamo indietro nel tempo, quando il parroco don Felice Radice mi contattò per ridisegnare gli interni della chiesa. Una struttura abbastanza modesta, del 1934, con alcuni ampliamenti avvenuti in anni successivi, molto maestosa ma senza riferimenti estetici e stilistici. Si presentava con parecchie problematiche: acustica, riscaldamento, controsoffitti e via discorrendo. Ho riprogettato gli spazi cercando di creare un luogo di accoglienza, dove sentirsi in pace, come se fosse un abbraccio».

E l’organo?

«Nel corso dei lavori è nata anche l’idea di ridisegnare l’organo, a mio avviso elemento fondamentale in una chiesa, perché la musica ha la capacità di emozionare, ti mette in feeling con il luogo. Don Felice Radice voleva un organo particolare, direi unico, ed io penso di averlo fatto, è alto 12,60 metri, ma nella sua imponenza non ruba la scena all’altare».

Qual è il progetto al quale è particolarmente legato?

«Quello che deve ancora venire».

E quello che avrebbe voluto realizzare e che ancora non si è concretizzato?

«Ci sono cose progettate e non realizzate o ancora da realizzare. Forse il prossimo per un grande hotel a Dakar, con la caratteristica che la sua sommità sarà il faro del porto».