Luigi “Gigi” Iorno: «Aiutatemi: La città del gioco cerca una nuova casa»

Rimanere nell’attuale sede è impossibile, ma c’è la speranza di riaprire altrove. Luigi “Gigi” Iorno: «Ho fatto divertire tre generazioni di clienti, adesso chiedo aiuto»

Luigi Iorno non è solo il titolare de La città del gioco, storica ludoteca di via delle Forze Armate, ma una vera e propria enciclopedia vivente dei giochi da tavolo.

 

La città del gioco cerca una nuova casa

Mentre snocciola titoli e perle rare di storia è possibile vedere luccicare i suoi occhi di una passione che anche a 66 anni è più viva che mai. Si autodefinisce il primo dj dei giochi da tavolo e non si può dargli torto, ai suoi clienti sapeva sempre offrire il gioco giusto per passare una serata all’insegna del divertimento.

L’avventura di Luigi Iorno è iniziata nel 1984 con la ludoteca Ore felici in zona San Siro, nel 1994 il salto in avanti con La città del gioco. Trentasei anni che hanno portato alla costruzione di una collezione immensa di giochi fatta di circa 3mila scatole, un patrimonio ludico-culturale per certi versi inestimabile.

Via delle Forze Armate è stata teatro di avvincenti tornei, ha organizzato serate a tema, ospitato club di giocatori e offerto i suoi spazi ad associazioni come Don Gnocchi e Party senza barriera per pomeriggi di ludoterapia. Ora, però, La città del gioco ha bisogno di aiuto perché la pandemia di coronavirus e il lockdown forzato hanno messo in ginocchio l’attività.

Rimanere nell’attuale sede è impossibile, ma c’è la speranza di poter aprire in un’altra location: «Il lockdown ci ha dato il colpo di grazia – spiega Iorno – avevamo già in mente di trasferirci alla fine dell’estate perché la proprietà intende trasformare lo spazio in abitazioni, ma questi mesi di chiusura forzata hanno complicato tutto a livello economico e ora c’è il rischio di dover smembrare questo patrimonio di giochi da tavolo».

La città del gioco, parla Luigi Iorno

Cosa rende impossibile riaprire ora?
«Purtroppo il Covid-19 ha distrutto la socialità. Non è facile giocare rispettando il distanziamento sociale, inoltre i giochi sono fatti di plastica, metallo, carta, tutto materiale che andrebbe sanificato dopo ogni utilizzo. Infine, limitando gli ingressi, non coprirei nemmeno i costi di gestione».

Come hanno reagito i clienti all’annuncio della chiusura?
«Abbiamo ricevuto la solidarietà di tre generazioni di clienti che sono passati da questo locale. Un affetto che mi ha dato tanta gioia. Tutti sono rattristati dall’idea che Milano possa perdere una struttura storica come La città del gioco».

Avete chiesto aiuto alle istituzioni?
«Abbiamo contattato il Municipio di zona e il Comune, ma, essendo privati che operano nel sociale e non un’associazione, non siamo neanche stati presi in considerazione. Non ci sono aiuti concreti da parte di Comuni, Regioni e Governo. Quanto fatto non è sufficiente e molte attività sono a rischio. Tante belle frasi ma nessuno si azzarda a fare il primo passo».

Com’è il suo rapporto con i clienti?
«La bellezza di questo posto sta proprio nell’amicizia nata con i clienti. Tutti quelli che sono passati da qui poi sono tornati con le loro famiglie. Una cliente in questi giorni mi ha detto “Non puoi chiudere proprio ora che mia figlia sta imparando a fare i primi giochi”. Io per tutti sono Gigi e credo di aver lasciato a tutti un bel ricordo».

Come è cambiato il mondo del gioco da tavolo in questi 36 anni?
«Abbiamo avuto un exploit in salita del mercato ludico. Alcune aziende storiche si sono defilate, ma sono nate nuove realtà molto valide che importano titoli e li portano in Italia. Piacciono molto giochi come Agricola o Fotosintesi e si sono affermate anche le Escape Room da tavolo sull’onda del successo di quelle reali. Anche i giocatori sono cresciuti, sia di numero sia di livello. Se una volta veniva preferito il gioco semplice e divertente, ora vengono apprezzati anche titoli con regole più complesse».

Immagina la sua vita senza La città del gioco?
«No, non riesco proprio. Mi spaventa l’idea. Io sono una persona molto sociale e solare. Perdere questa socialità energica che mi dà la gente che frequenta il locale mi rattristerebbe moltissimo. Non vorrei nemmeno andare in pensione, mi sentirei come certi pensionati che passeggiano per la città e finiscono a guardare i cantieri perché si sentono inutili. Purtroppo non ho ancora visto una ludoteca per anziani, magari la farò io se riuscirò a salvare questo patrimonio».

Ora quali sono le tempistiche?
«Io posso rimanere qui fino a settembre poi devo liberare obbligatoriamente».

Qual è il suo appello?
«Spero che le istituzioni possano trovare uno spazio ottenibile senza troppa burocrazia perché i tempi sono stretti, più si allunga l’attesa di assegnazione e più si accumulano i debiti. Si è aperta una speranza con un bando che assegnerà gli spazi sequestrati alla mafia, ma si rischia di andare per le lunghe. In alternativa chiedo aiuto a qualche privato che possa propormi un affitto basso all’inizio per darmi modo di ripartire rispettando gli ingressi contingentati e poi andare a regime a fine emergenza. Sono aperto a tutto pur di salvare questa situazione. Io posso aspettare fino a fine giugno, poi dovrò decidere cosa fare»