I teatri sono chiusi al pubblico, ma guai a pensare che siano morti. Tra quelle mura c’è un cuore che continua a pulsare e arde dalla voglia di spalancare le sue porte. Al Teatro Litta di Corso Magenta, ad alimentare questa linfa, ci sono le prove di Decameron – Una storia vera, spettacolo ideato da Stefano Cordella e Filippo Renda e prodotto da Mtm Teatro con Trento Spettacoli. «A differenza del primo lockdown i teatri hanno la possibilità di provare – spiega il regista Stefano Cordella –. Abbiamo fatto dei tamponi rapidi e appena avuto i risultati siamo entrati in sala. Per continuare a lavorare ci sottoponiamo ciclicamente a dei tamponi di controllo».
Che misure avete adottato?
«Rispettiamo tutte le misure di sicurezza previste dal protocollo, utilizziamo le mascherine quando non è possibile mantenere le distanze e cerchiamo di abituarci a questa nuova realtà. Devo ammettere che tornare a teatro, seppur con tante limitazioni, è stata una boccata d’ossigeno. Abbiamo la consapevolezza di essere fortunati rispetto a tanti colleghi costretti a provare su zoom. Ovviamente siamo sfiniti dal fatto di non sapere quando potremo debuttare, ma al tempo stesso c’è l’entusiasmo del ricominciare».
Perché una storia ambientata in un periodo di peste come il Decameron?
«Se non fosse stata una scelta fatta prima della pandemia non l’avrei portato in scena. Questo spettacolo lo abbiamo ideato due anni fa iniziando a impostare il lavoro, poi è arrivato il Covid. Inizialmente ho pensato di cambiare programmi poi insieme abbiamo deciso di portare avanti il progetto ovviamente consapevoli di quanto successo. L’ultima cosa che vogliamo fare è parlare in modo diretto della pandemia».
Che lavoro state facendo sul testo?
«Stiamo cercando di lavorare più sulla struttura del Decameronformando una nostra versione contemporanea. Attraverso una selezione di racconti, materiale audio e video stiamo cercando di raccontare la nostra percezione del presente senza entrare nella tematica Covid. Abbiamo selezionato dieci parole che rappresentano la situazione del contemporaneo e che possono aprire a tematiche universali filtrate dalla sensazione che abbiamo in questo periodo. Non vogliamo riproporre la storia dei ragazzi che si chiudono in una casa durante una pandemia, ma raccontiamo la traccia che vorremmo lasciare di noi davanti alla fine del mondo»
Avete ipotizzato una data di debutto?
«Il debutto a Trento è fissato per l’8 aprile. Non sappiamo se si potrà fare ma noi stiamo lavorando per essere comunque pronti per quel giorno anche se poi non si andrà in scena. C’è un po’ più di ottimismo sull’essere a Milano a giugno».
Come procederanno le prove?
«Fino a domenica saremo al Litta, abbiamo raccolto tutto il materiale e stiamo lavorando al montaggio di ogni giornata. Prima del debutto avremo altri dieci giorni di prova che utilizzeremo per lavorare di fino sul palcoscenico».
Il teatro è stato abbandonato dalle istituzioni?
«Purtroppo noi dovremmo protestare un po’ di più. Siamo stati tra le professionalità che più di tutte hanno cercato di rispettare le regole, i teatri si sono attrezzati per mettersi a norma. Il problema è che chi lavora in alto non va a teatro e non ha la consapevolezza della sicurezza che c’è. In più si sbaglia immaginando solo i grandi teatri con migliaia di posti quando invece la maggior parte del teatro italiano si basa su realtà più piccole che hanno un’attenzione altissima alla sicurezza. Il fatto che chi prende decisioni sui teatri non abbia idea di cosa significhi andare a teatro mi spaventa molto».