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24. 04. 2024 03:18

Martina Luoni, la “Milanese del 2020”, si racconta: «Sto provando a vincere il buio»

Due mesi fa lanciò l’allarme sull’assistenza ai malati oncologici durante la pandemia: oggi Martina Luoni è eletta “Milanese dell’anno” dai lettori di Mi-Tomorrow e continua la sua battaglia

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«Buongiorno a tutti, per chi non mi conoscesse sono Martina, ho 26 anni e tre anni fa mi è stato diagnosticato un cancro al colon metastatico. Oggi sono qui a fare questo IGTV per denunciare la situazione negli ospedali lombardi».

Con queste parole Martina Luoni, ormai oltre due mesi fa, lanciava sul suo profilo Instagram il video che avrebbe in parte cambiato la sua vita recente. Da ragazza di Solaro amante del ballo e della moda, si è ritrovata – suo malgrado – protagonista del dibattito pubblico su una questione da lei stessa lanciata: l’assistenza ai malati oncologici della nostra regione in tempi pandemici. Un vero è proprio pandemonio – è il caso di dirlo -, che non solo l’ha portata ad essere particolarmente richiesta dalla stampa e dalle tv, ma l’ha resa testimonial di Regione Lombardia e un faro social per i suoi follower che si sono subito immedesimati in quei sette minuti di filmato.

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Non potevamo, insomma, non inserirla nei dieci nomi pronti a giocarsi il primo titolo di “Milanese dell’anno” organizzato da Mi-Tomorrow. E non potevamo nemmeno pensare che questa scelta generasse in soli sei giorni quasi la metà degli oltre 200mila voti ricevuti – dal 30 dicembre al 5 gennaio scorsi -, portando Martina a conquistare questo titolo simbolico. Ma denso di significato. «C’erano nomi forti come Armani e i Ferragnez! Penso anche alle Brigate Volontarie per l’Emergenza… È stato tutto strano, ma sono felicissima», racconta.

Avresti mai pensato di ricevere un premio nell’anno più difficile di sempre?

«Che dire… È esploso il virus e anche la mia malattia, sono state due cose pazzesche da affrontare. È stato tosto, davvero complicato».

L’anno più complicato tra annate già comunque difficili.

«Sì, anche perché ero partita da un cancro al colon al quarto stadio con metastasi che avevano già intaccato il fegato. Questo è avvenuto nel 2018, nel 2019 dopo tre interventi e dieci chemioterapie sembrava rientrato».

E ora?

«Dal controllo di gennaio (2020, ndr) è risultato un linfonodo malato, da lì ho ripreso la radioterapia. E siamo ancora in fase di “attacco”. Ho un controllo a marzo».

Quante chemio hai già fatto?

«Nel 2018 ne avevo fatte dieci, ora sono già a undici in totale».

Riesci a spiegare che cosa si prova fisicamente dopo una chemio?

«Il primo anno ero abbastanza tranquilla, non avevo grosse ripercussioni. Invece ora le sento di più, sono toste e invasive in tutto il corpo. I farmaci sono forti. La mia chemio durava tre giorni: neanche il tempo di riprendermi che ero sotto di nuovo».

 

Adesso con che frequenza la fai?

«Faccio un giorno di infusione, 14 giorni di pastiglie e la terapia è ogni 21 giorni. Più si va avanti e più il corpo ne risente. Ora sto veramente male, non mangio per due giorni. Se faccio terapia il lunedì, ritorno a mangiare il venerdì. Passo 72 ore a letto con il buio a dormire».

Quindi la tua attività sui social diventa un aiuto?

«Direi di sì. Anche se chi mi segue si preoccupa quando non mi vede per diverso tempo. Sono sui social per caso: è giusto anche staccarmi e prendermi il tempo per ritrovare la migliore condizione».

Cosa vuoi trasmettere ai tuoi follower?

«Credo sia giusto far capire che è qualcosa di molto tosto, racconto la verità ma ho bisogno dei miei tempi. I social non sono la realtà e serve distacco».

Hai creato anche appuntamenti fissi.

«Scatto una foto ad ogni seduta, ogni volta che ci vado».

Da sempre?

«Sì, da sempre. All’inizio era per ricordarmi cosa stavo passando, vedevo anche il percorso che stavo facendo. Voleva essere un conforto per tutte quelle persone che non hanno il coraggio di far vedere che stanno facendo una terapia. Magari fa sentire meno soli».

Che risposte ricevi?

«Alcuni provano vergogna e paura, magari dopo aver visto me fa meno strano fare una terapia di questo tipo. È come fosse un abbraccio per tutti».

Il messaggio più bello che hai ricevuto negli ultimi giorni?

«È successo una settimana fa: è venuta a mancare una ragazza americana che era il mio faro. Era miracolata: le avevano dato pochi mesi, come a me. È mancata a 27 anni, ho provato un grande dispiacere. Così ho raccontato questa storia: mi sono arrivati parecchi messaggi di conforto e ho capito di essere io stessa il faro per tantissime persone».

Come ti senti?

«Caricata di responsabilità, fa un po’ impressione. Anche io ricevo tanti abbracci dalle persone, ma ha senz’altro un senso quello che faccio. Per me è uno sfogo, per loro sono qualcosa di importante. Fa piacere».

Vicino a te, la tua inseparabile amica Chiara.

«Ci siamo ritrovate da poco: è una delle poche persone che mi vive realmente, quindi con lei non ho problemi. È la prima persona che corre da me quando ho bisogno, siamo allineate ed è un grande sostegno».

Come fa a sostenerti?

«Ho dei momenti di buio in cui non riesco a reagire, lei mi tranquillizza. Sa come fare, mi dice di vivere. Mi fa capire che al momento posso solo affrontare ogni giorno, poi me lo ripeto quando sono sola».

Ti è successo di ricambiare il favore?

«Sì, anche a me capita di aiutarla. Quando si è lasciata con il fidanzato le sono stata vicino. Ho provato a sostenerla. Non tutti i mali vengono per nuocere: in tutto c’è un’opportunità. Proviamo a cogliere il meglio anche quando non si vede».

C’è qualcosa che vorresti dirle che non le hai mai detto?

«Lei sa che le voglio un bene dell’anima. Ho un carattere molto cinico, anche se non sembra. Faccio molta fatica a sbloccarmi».

La colpa è dei social, secondo te?

«No, mi sono sempre data per molte persone. È colpa del momento che sto vivendo io. Non ho ricevuto indietro quello che mi aspettavo, quindi mi sono messa la corazza e provo a farmi capire con uno sguardo. Ci vanno di mezzo tante persone. Funziona così con Chiara, ma anche con la mia famiglia. Sanno che sono così».

Alcune persone ti hanno abbandonato?

«Sì, in tanti non ci sono stati. Sono scelte, che rispetto. Chiara è stata un punto fisso».

Che rapporto c’è tra Chiara e i tuoi genitori?

«In realtà non c’è un gran rapporto, ma mi vedono felice e riconoscono la purezza in lei. Sono sereni per me e questa è la cosa più importante. Sono felici di questo legame, la gente ci scambia addirittura per fidanzate».

Traspare amore.

«Ovviamente, c’è un rapporto veramente speciale».

Buoni propositi per quest’anno?

«Al netto di augurarmi la guarigione, spero di riuscire a viaggiare tanto. Ho proprio questa esigenza, di vedere, di fare esperienze e di stare bene con me stessa. Mi sono messa al centro io, farò solo quello che mi fa star bene. Non mi interessa più il giudizio degli altri, siamo appesi ad un filo».

È cambiato qualcosa in te?

«Non voglio stare a giustificare nulla, chi vuole starmi accanto lo deve fare perché tiene al mio bene. Nel rispetto di tutti, non guardo più al pensiero delle altre persone».

Prima parlavi di cinismo caratteriale. Pensi di averlo avuto sempre?

«Da piccola ero molto indipendente, ho sempre avuto sotto controllo tutto. La malattia mi ha cambiato, ho capito che stavo correndo troppo nella mia vita. Avevo già in testa di sposarmi, di avere figli: la malattia mi ha fermato. Mi piace pensarla così: mi ha dato la possibilità di pensare al fatto di avere ancora molto da vedere».

E ora? Tornerai ad essere meno cinica?

«Quando sono guarita la prima volta sono tornata come prima. Volevo ripartire, mi sono trasferita per amore. Volevo rimettere su tutto».

La persona che avevi accanto ha inciso?

«Lui era come sono io ora, voleva viaggiare. Ci siamo separati per questo, io avevo un’altra testa. Ora ho la stessa convinzione, adesso voglio fare esperienze. Ho un piano ogni giorno».

Non vivi alla giornata?

«Un mezzo piano nella vita serve sempre, ogni TAC che faccio cambia il mio piano. Adesso voglio vedere cose nuove e imparare. Quando guarirò, penserò alla vita».

Quanta paura hai di morire?

«Tantissima, la prima volta non avevo questa paura. Anche se ero messa molto peggio, il carico era alto. Era più controllabile, eppure mi avevano dato pochi mesi di vita».

Ora cos’è cambiato?

«Adesso ho molta più consapevolezza, addosso mi sento 80 anni a livello mentale. Ho la consapevolezza che le cose possono andare male. Ero maniaca del controllo e ora non so cosa ci sia dopo: è devastante, mi blocca».

Cosa ti preoccupa che possa andar male?

«Ho paura di far soffrire i miei genitori, la mia famiglia, i miei nipoti. Non nego la paura di accorgermi del peggioramento. Ho sempre la paura di peggiorare e vedere il mio corpo cedere. La consapevolezza porta a sentire il peggioramento. La gente muore anche investita, ma non ha la consapevolezza. Io, invece, so che c’è la possibilità di morire. È quello che mi impaurisce. Ce l’ho fatta una volta…».

Non lo puoi controllare.

«Più di questo non posso fare. Ma ora le cose stanno andando meglio, l’ansia non ha senso. Almeno fino al prossimo controllo».

Ti senti come se avessi delle catene?

«È più come quando vedi il buio. Rimango spaesata, vorrei fare cose ma non posso. Un senso forte d’impotenza».

La prima cosa che fai per reagire a questo buio?

«Chiamo Chiara, mi rimette subito in pista. Anche la pandemia sta facendo effetto mentalmente, non abbiamo sfoghi. Io vivo da sola. Da sola con i miei pensieri. E siamo pur sempre i peggiori nemici di noi stessi».

Come sfidi il tempo?

«Mi sono avvicinata alla pittura, cerco di riempire le giornate. Però mi mancano i rapporti umani, lo ammetto. Mi piace fare e vivere, ma al momento è così. Mi manca la libertà. Sento che sto perdendo tempo».

Cosa credi si possa fare di più per i malati oncologici?

«Parlo per me: al Sacco ho trovato una famiglia, le infermiere e i medici riescono a non farti sentire sola. Questo è quello che mi arriva, ho trovato persone molto umane. È difficile capire cosa fare in più, serve solo vicinanza e umanità».

Fuori dagli ospedali, invece?

«Chiedo ai cittadini di vaccinarsi per proteggere noi, che siamo una rappresentanza delle persone più a rischio. Diamoci tutti una mano: è molto più importante di quanto in molti credano».

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