Medici in Lombardia, l’allarme dell’Usb: «C’è bisogno di anestesisti e internisti»

Parla Pietro Cusimano, dell'Unione sindacale di base

medici in lombardia
Pietro Cusimano

I medici in Lombardia? Andavano assunti a partire dal primo gennaio, quando l’emergenza era ancora lontana. Adesso, in piena epidemia da coronavirus, la loro carenza è evidente e rischia di mettere in ginocchio il sistema sanitario. A ribadirlo a Mi-Tomorrow è Pietro Cusimano, dell’Unione sindacale di base.

 

Medici in Lombardia, Pietro Cusimano: «C’è bisogno di anestesisti e internisti»

Com’è la situazione nella regione?
«C’è una carenza diffusa di specialisti imputabile ad una cattiva programmazione e alle politiche di accesso ai corsi universitari. Possiamo dire con certezza che in questa fase c’è bisogno soprattutto di anestesisti e internisti».

Gli infermieri invece bastano?
«Mancano almeno cinquemila professionisti in Lombardia. Questo per raggiungere gli standard regionali minimi per l’accreditamento. In una situazione ideale servirebbero almeno settemila infermieri. Ovviamente bisogna aggiungere tutto il resto del personale, tecnico e non».

Perché Regione Lombardia avrebbe potuto e dovuto assumere medici a partire dal primo gennaio?
«Nella legge di bilancio approvata lo scorso 30 dicembre, il governo ha inserito due importanti disposizioni: la prima è quella con la quale si dichiaravano valide tutte le graduatorie dei concorsi pubblici, il che significa concretamente la possibilità di assumere tutti i candidati risultati idonei e non solo i vincitori.

Si tratta di migliaia di persone che potevano essere assunte immediatamente, nella quasi totalità a tempo indeterminato. La seconda disposizione è la proroga dei termini della legge Madia con la quale è possibile stabilizzare tutti i rapporti di lavoro flessibile in sanità, attraverso procedure dedicate.

Abbiamo più volte sollecitato diverse Asst e anche l’assessorato regionale al Welfare fin dai primi giorni di gennaio, ma non abbiamo avuto riscontro».

Quanti professionisti sarebbe stato possibile assumere o stabilizzare?
«A fronte di una carenza di personale, escluso i medici, per l’equivalente di 40 milioni di euro, sarebbe stata priorità di Regione Lombardia cominciare ad assumere immediatamente gli idonei fino alla disponibilità delle risorse».

Cosa è possibile fare adesso per arginare l’emergenza?
«Riteniamo che le misure che stanno adottando siano tutte corrette. L’emergenza è gestita bene, ma nei limiti delle risorse umane e tecnologiche disponibili».

E’ giusto secondo lei richiamare i medici in pensione?
«Fondamentalmente, riteniamo che non sia giusto, per almeno due motivi. Il primo è che questo rappresenta la prova che si è totalmente sbagliato la politica delle assunzioni. Il secondo è che chi sta in pensione in Italia, oggi, ha almeno 65 anni e i rischi aumentano per questa fascia di popolazione. E’ assurdo chiedere ai 65enni di non uscire di casa e poi chiamare i 70enni a lavorare in corsia in un momento di epidemia».

Quali altri strumenti ha a disposizione la Regione?
«La Regione deve rivedere le proprie politiche rispetto alla sanità. Bisogna mettere al centro la salute e non la sostenibilità economica. Purtroppo tutte le scelte degli ultimi decenni sono state fatte in chiave economica».

Adesso dove sono le situazioni più difficili in Lombardia?
«Oltre alle situazioni già note, non si sta parlando abbastanza della situazione drammatica delle Asst della provincia di Bergamo dove ci sono enormi difficoltà. Sappiamo di presidi con altissime percentuali di personale in quarantena».

La sanità privata in questa fase è chiamata a dare una mano. In che modo è possibile questa collaborazione?
«In questo momento moltissime strutture private possono fare da tampone, accogliendo casi dagli ospedali pubblici, compatibili con le loro strutture, per sgravare la situazione. Ma quello della sanità privata è un sistema che va ripensato».

Quali sono le specialità mediche che dimostrano la maggiore carenza di personale?
«In questo momento servono soprattutto letti in terapia intensiva. In assenza di vaccino, l’unico modo per affrontare le situazioni più gravi è il supporto delle funzioni vitali».

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Pietro Cusimano