Turni di lavoro massacranti e ritmi di vita sempre meno sostenibili stanno causando un aumento esponenziale dei casi di emicrania. «Un disturbo causato soprattutto dallo stress», come conferma a Mi-Tomorrow Bruno Colombo, neurologo e responsabile unità Cefalee e algie facciali dell’ospedale San Raffaele di Milano.
Perché il mal di testa è sempre più diffuso?
«Lo stress è una delle concause più importanti dell’insorgenza di questi problemi. Le persone colpite sono più sensibili alle variazioni dei ritmi biologici. Non è un caso che frequentemente le emicranie compaiano il sabato e la domenica, quando ci si dovrebbe riposare. Ciò perché il cervello può sensibilizzarsi anche per un aumento delle ore di sonno, e per una mancata attività psicofisica fin dal risveglio, come avviene nel fine settimana».
Cosa cambia quando i ritmi di vita non sono adeguati?
«I continui cambiamenti dei bioritmi vengono avvertirti come incongrui e l’emicrania è la risposta per segnalare che qualcosa non sta andando secondo i ritmi abituali. Ecco perché chi soffre di queste patologie avrebbe bisogno di stabilità negli orari e nelle attività lavorative e sociali».
Cosa succede quando il mal di testa è molto frequente?
«I pazienti con forme croniche di emicrania soffrono maggiormente di difficoltà nell’addormentamento e scarsa qualità del sonno. I turni di lavoro, generando alterazione dei ritmi biologici, possono peggiorare la situazione».
Quali sono i disturbi più frequenti legati all’emicrania?
«Questo problema è caratterizzato da crisi ricorrenti di attacchi di cefalea che possono durare dalle quattro alle 72 ore. Sono di tipo pulsante, associati a nausea, vomito, disturbo per luce e rumori e aggravamento con lo sforzo fisico. Le crisi possono avere frequenze diverse, tendono ad aumentare nel tempo e possono diventare croniche».
Chi sono le persone più colpite?
«Sono più esposti i soggetti che hanno già una familiarità con l’emicrania e che arrivano tardi a una diagnosi corretta. L’età più a rischio è quella produttiva, dai 15 ai 55 anni. In genere sono più sensibili le donne».
Quando si può dire che l’emicrania sia cronica?
«Il disturbo diventa una vera e propria patologia quando crea una disabilità legata a una riduzione della qualità di vita in termini di socialità, lavoro e ruolo familiare. In tal senso, un paziente che soffre di due o tre crisi al mese è già meritevole di una valutazione e di una cura per ridurre l’impatto sulla vita relazionale e lavorativa».
Cosa accade ai pazienti cronici?
«Chi soffre di emicrania cronica è più esposto all’abuso di farmaci, con la conseguenza di cefalee da astinenza da analgesico. Inoltre è più incline a depressione, stati d’ansia, disturbi del sonno e obesità. Il consiglio in questi casi è di farsi certificare la patologia da un neurologo e valutare, di concerto con l’azienda, la possibilità di ritmi più protetti».
Com’è più opportuno intervenire?
«Esistono nuovi farmaci di profilassi. Gli studi clinici hanno evidenziato una buona capacità nel ridurre frequenza e intensità delle crisi nei pazienti emicranici sia ad alta frequenza che cronici. Si utilizzano come fiale sottocutanee a somministrazione mensile per alcuni, trimestrale per altri, vanno prescritti dallo specialista del centro cefalee e sono indirizzati a pazienti che hanno fallito terapie precedenti. I dati finora pubblicati evidenziano la sicurezza di questi composti e la pressoché assenza di effetti collaterali maggiori».
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A rischio una donna su cinque
I dati dell’ultimo studio di Fondazione Maugeri
Mancanza di riposo adeguato e turni di lavoro massacranti, che mandano in tilt il ritmo circardiano. Quello che regola sonno e veglia. Sono i fattori alla base dell’emicrania, un disturbo che oggi affligge sempre più persone. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la cefalea è al 19esimo posto fra le patologie disabilitanti con maggiori ripercussioni a livello sociale. Perché è molto diffusa, ma anche a causa degli elevati costi sociali. Basti pensare che, secondo un recente studio condotto alla Fondazione Maugeri di Pavia, il mal di testa colpisce una donna su cinque e poco meno di un uomo su dieci, soprattutto fra i 25 e i 55 anni.
Costando circa 420 euro all’anno per ciascuno in termini di assenze dal lavoro che vanno dai due ai quattro giorni e mezzo. Inoltre l’emicrania riduce del 35 per cento la produttività dei lavoratori. Eppure, oggi più che mai, la sua maggiore incidenza è dovuta proprio all’organizzazione – sempre meno sostenibile – della vita professionale.
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