Ipnosi al posto dell’anestesia, per evitare i rischi connessi alla somministrazione di questi farmaci. La pratica è diventata realtà all’ospedale Niguarda di Milano dove, per la prima volta, una paziente è stata operata al cuore senza essere addormentata attraverso le terapie tradizionali. La donna, 82 anni, ha subito un intervento chirurgico alla valvola aortica ricorrendo proprio alla tecnica dell’ipnosi.
A renderlo noto è stata la stessa struttura ospedaliera con una nota: «L’intervento è durato poco più di un’ora. Nella sala ibrida di Niguarda l’équipe è la solita per questo tipo di procedure: cardiochirurghi, anestesisti, tecnici di radiologia e infermieri. Sul lettino però per la paziente nessun ricorso a farmaci dell’armamentario anestesiologico (se non una piccola dose di anestetico locale per le punture sulle gambe, punti di accesso per la risalita dei cateteri fino al cuore per la sostituzione valvolare).
In alternativa si è ricorsi all’ipnosi». A spiegare in che modo è andata la delicata operazione è Sandra Nonini, specialista dell’Anestesia e Rianimazione 3, diretta da Maria Pia Gagliardone: «Ho sentito parlare per la prima volta di ipnosi durante un’esperienza lavorativa in Francia dove questa pratica è molto utilizzata, non solo per procedure chirurgiche ma anche per quelle di tipo ambulatoriale, come per esempio le medicazioni nei gravi ustionati – dice -. Incuriosita da questa tecnica mi sono avvicinata al mondo dell’ipnosi usata in ambito medico e oggi mi sto specializzando».
Il comunicato dell’ospedale aggiunge: «Al risveglio la paziente, che per tutta la durata dell’intervento ha mantenuto un’ottima stabilità dei parametri respiratori ed emodinamici (quelli che preoccupavano in caso di sedazione), ha riferito di non aver sentito alcun fastidio e che con la mente è andata alla sua infanzia: per tutto il tempo correva tra i prati con una capretta, così come faceva da bambina. I colori erano molto vividi e si ricordava di un profumo di limoni selvatici».
Il concetto chiave dell’ipnosi sta nel focalizzare l’attenzione su un’idea per indurre uno stato di coscienza modificato che può portare a un innalzamento della soglia del dolore. «Ho fatto concentrare la paziente su un punto e l’ho portata a lavorare sulla respirazione – conclude il medico -. Quindi l’ho portata a immaginare di trovarsi nel suo luogo sicuro. In questo stato di trance, che è ben diverso dal sonno, abbiamo potuto completare l’intervento, grazie a uno stato di immobilità tenuto dall’inizio alla fine della procedura».
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Pratica sempre più diffusa
In un numero sempre maggiore di ospedali italiani l’ipnosi si sta facendo largo come alternativa, o terapia complementare, ai tradizionali farmaci anestetici. I vantaggi sono, infatti, molteplici. Questo approccio permette di evitare le allergie e lo choc anafilattico, che invece l’anestesia potrebbe causare. Con l’ipnosi si riduce anche l’ansia in pazienti particolarmente esposti a questo problema, in maniera efficace e senza ricorrere a farmaci, consentendo così di eseguire manovre invasive e piccoli interventi in anestesia locale inducendo uno stato di benessere.
Inoltre, affermano i sostenitori della metodica, l’ipnosi è uno strumento in grado di rendere il paziente capace di affrontare meglio qualsiasi terapia invasiva in modo del tutto fisiologico, sempre disponibile e privo di costi: da sola o in aggiunta all’anestesia farmacologica, questa tecnica può quindi consentire di migliorare il rapporto costi/benefici e la qualità globale delle cure. Per quanto riguarda, invece, le cure palliative – per la riduzione del dolore cronico – la comunità scientifica non ha ancora trovato un punto fermo. E sembra quindi lontana la speranza di potere sostituire i farmaci con l’ipnosi.