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19. 04. 2024 06:11

Rooming in e violenza ostetrica, la voce delle donne a Milano: «Poteva succedere anche a me»

Dopo il caso del neonato morto nell’ospedale romano, mamme ed esperti milanesi si interrogano sul post parto. Perché non è (mai stato) un tema da sottovalutare

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La vicenda del neonato morto all’ospedale Pertini di Roma ha sollevato un’unica voce, ma di tante donne: «Poteva succedere anche a me». Tornano sotto la lente di ingrandimento realtà come il rooming in e la violenza ostetrica. Stiamo parlando dell’episodio di cronaca che riguarda il piccolo rimasto soffocato nel letto accanto alla mamma dopo essere stato allattato nella notte fra il 7 e l’8 gennaio.

Rooming in: opportunità o obbligo? La situazione a Milano, pareri e testimonianze

La donna sostiene di aver chiesto più volte di portare il bambino nella nursery perché non riusciva a occuparsene: dopo tante ore di travaglio si sentiva molto stanca, ma i sanitari non l’avrebbero ascoltata. C’è un’indagine in corso e bisognerà aspettare l’autopsia per chiarire le cause della morte del bambino, ma da questa tragedia emerge un tema spesso poco affrontato: la solitudine delle mamme subito dopo il parto, acuita anche dalle norme anti covid che restringono la possibilità di far rimanere i famigliari di mamma e bambini nella stanza dell’ospedale.

Il dito non deve essere puntato contro il “rooming in” e cioè verso la pratica definita dall’Oms come “la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza d’ospedale in un tempo più lungo possibile, salvo quello dedicato alle cure assistenziali”. Il rooming in favorisce il legame affettivo fra mamma e nascituro e agevola la prima fase, non sempre facile, dell’allattamento.

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In molti casi è la sua applicazione a essere sbagliata. Tenere il bambino con sé subito dopo il parto è un’opportunità e non un’imposizione: deve essere proposta senza regole rigide, lasciando la libertà di scegliere, senza creare sensi di colpa nelle neo mamme, come troppo spesso accade. Negli ultimi anni sta emergendo anche il tema della “violenza ostetrica”, ovvero una serie di pratiche messe in atto dagli operatori sanitari senza il consenso della partoriente, alle quali possono aggiungersi anche violenze di tipo psicologico e verbale. Dopo il caso di Roma, in questi giorni tante mamme hanno cominciato a raccontare le loro esperienze negative, subite negli anni anche negli ospedali milanesi, sofferenze fino ad ora celate, che ora stanno emergendo a cascata, come in una sorta di “Me Too” del parto.

Rooming in, i numeri legati alla violenza ostetrica

1 milione
le madri italiane che hanno subito violenza ostetrica durante il parto o il travaglio

40%
la percentuale di madri che dichiarano di aver subito azioni lesive della dignità personale

21%
la percentuale di madri con figli da 0 a 14 anni che ha subito episodi di violenza ostetrica

6%
la percentuale di madri che non affronta una seconda gravidanza dopo l’esperienza traumatica del primo parto

Dati dal 2003 al 2017
Fonte: Doxa, OVOitalia, La Goccia Magica, CiaoLapo

Rooming in, 5 domande a Enrico Zanalda (Pres. Società Italiana di psichiatria): «Nessuna deve fare l’eroina: non andate oltre le vostre possibilità»

rooming inIl momento del parto è descritto minuziosamente nei corsi preparatori rivolti alle donne in gravidanza. Ciò di cui spesso non si parla è quello che accade dopo. Una volta spente le luci della sala parto, spesso si piomba nel buio. «Un momento da non sottovalutare» sottolinea Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria.

Che momento è il post partum per la donna?
«Delicatissimo sia dal punto di vista biologico che psicologico: c’è il distacco fisico dal bambino, lo stress del parto e un forte rischio di depressione, che è fisiologico nei primi cinque giorni. In questi momenti bisogna stare vicino alla mamma, sarebbe meglio che a farlo fosse un familiare, nei reparti diventa più complesso».

Il rooming in non dev’essere certo una costrizione, ma in molti casi alimenta il senso di colpa nelle donne.
«Questo è da evitare: si può solo aggravare la fragilità della donna. Bisogna che funzionino le nursery. Se il reparto applica il rooming in per non avere le nursery non va bene, non bisogna scambiare questa opportunità con la carenza di servizio. Sono stati chiusi molti reparti maternità e tenuti solo nei centri ospedalieri più grandi per evitare situazioni a rischio, ma non devono poi venir meno le richieste delle pazienti».

Quanto è sottile la linea che separa la violenza ostetrica e il senso di colpa delle madri?
«Rappresenta un continuum: forzare la madre a tenere il bambino, magari per aiutarla, è fisiologico che possa diventare un sostegno mal accolto dalla neo mamma. Ci vuole anche la sensibilità di capire il momento».

Possiamo sfatare la figura delle mamme eroine per forza?
«Già a partorire sono delle eroine. Questa esperienza è molto importante anche per quello che determina il cambiamento successivo nella vita della persona. Bisogna fornire alle madri una struttura che le aiuti».

Come si può infondere fiducia a una mamma che è in procinto di partorire?
«Non andate oltre le vostre possibilità, che in quel momento saranno ridotte. Questo momento è come una maratona, non sono i 100 metri. Dovete dosare le forze per recuperare le energie nell’arco di un mese. Nessun senso di colpa se non vi sentite subito di affrontare alcuni aspetti dell’accudimento del bambino».

Rooming in, una petizione da 160mila firme. Parla Margherita Fioruzzi (Mama Chat): «Servono regole, riapertura dei reparti e formazione»

rooming inL’episodio dell’ospedale Pertini di Roma ha scoperchiato un vaso di Pandora che ha portato Mama Chat, associazione milanese che fornisce alle mamme assistenza psicologica online, ha lanciato la petizione su Change.org “Basta morti inutili e mamme sole! Chiediamo di garantire accompagnatori H24 alla nascita”. Solo nei primi giorni ha raccolto oltre 160mila firme. Margherita Fioruzzi è cofondatrice e CEO.

Cosa vi ha spinto a lanciare questa petizione?
«Abbiamo ricevuto molte testimonianze dopo quanto accaduto, noi come servizio di assistenza alle donne e madri parliamo tanto di solitudine materna e il lancio della petizione è stata richiesta proprio dalle mamme che ci seguono. Non ci aspettavamo questi numeri e che questo “sommerso” fosse così diffuso».

Perché si parla poco di violenza ostetrica?
«Perché si conosce poco il fenomeno, eppure ne soffrono quattro donne su dieci. Dal punto di vista culturale le pressioni sulle mamme sono aumentate anche con la pandemia, quando sono rimaste ancora più sole, senza familiari e senza quei progetti di assistenza domiciliare, venuti meno per le norme anti-Covid».

Che cosa sta emergendo dalle testimonianze raccolte?
«Queste mamme non vengono capite e ascoltate ma solo giudicate, questo fa parte di una cultura arcaica, per cui la donna diventata mamma deve annullarsi. Il rooming in deve essere adeguatamente condotto, deve essere una scelta. Ma il tema è più quello della mancanza di assistenza. Se una mamma non riesce a muoversi è sicuro lasciarle il bambino tutta la notte? Ci devono essere delle norme di sicurezza e un numero di sanitari adeguato per il reparto».

Come possiamo sostenere le future mamme, senz’altro spaventate da episodi del genere?
«Noi organizziamo delle dirette social affinché non vengano travolte da rabbia e paure. Ma anche per far conoscere i loro diritti».

Cosa si può e si deve chiedere?
«Ci devono essere delle regole: basta tagli alla sanità, basta con la chiusura dei reparti agli accompagnatori, vista anche la carenza del personale. Non tutti si possono permettere il costo di una stanza privata, dovremmo avere un Sistema sanitario nazionale che ci assiste. Serve, infine, un’adeguata preparazione formativa dei sanitari sul tema della violenza ostetrica».

Rooming in, le voci delle madri

«Abbiamo dovuto supplicarli per farmi riposare»
Francesca C.
40 anni
«Quello che è successo alla mamma di Roma è esattamente ciò che succede in molti ospedali in Italia. Io ho avuto tre figli, due a Genova e uno a Milano e l’esperienza è stata molto simile. Va bene il rooming in e anche i costi della sanità, ma dovrebbero garantire il monitoraggio delle puerpere. Se vogliamo parlare di costi, si risparmierebbe con i bambini al nido piuttosto che avere del personale che deve monitorare tutte le mamme. Io e mio marito abbiamo dovuto quasi supplicare perché portassero al nido mio figlio per farmi riposare qualche ora, almeno la prima notte. Si gioca poi su un terreno fragile, quello dei sensi di colpa delle neo mamme. La mia compagna di stanza, dopo un travaglio infinito, arriva in camera alle 4 di notte e volevano lasciarle il bambino senza farla riposare. Ho chiamato il personale e mi hanno risposto che “non avevano capito”. Vergognoso».

«Il post partum nell’abbandono più totale»
Monica N.
37 anni
«Ho vissuto esperienze diverse dove ho notato poca elasticità: non potevo portare il bambino nella nursery fino alle 22.00. Quando non si guarda la persona e il suo particolare momento, si rischia. L’ultimo parto è stato da dimenticare, forse ho inanellato una serie di turni ostetrici sbagliati, io e mio marito eravamo soli nel momento del parto. Il post partum nell’abbandono più totale, non solo io ma anche le altre donne. La mia vicina di letto, affetta da sclerosi multipla, ha subito una vera violenza ostetrica, le veniva detto che non coccolava la bambina. Non sono gli operatori sanitari, ma è la sanità intera ad aver problemi che sfociano in tragedie. Se un’ostetrica in un turno deve seguire 12-13 puerpere non può arrivare sempre ovunque. Il problema non è il rooming in, ma la rigidità con cui si applica. Questo è il dramma che vivo da infermiera, dove purtroppo questa volta abbiamo perso una vita innocente».

«Bagno senza acqua calda, i pasti “lanciati” dalla porta»
Romina P.
44 anni
«È stato il mio terzo parto cesareo programmato ed ero “ufficialmente” positiva asintomatica al Covid, per questo motivo sono stata 4 giorni in isolamento con la bambina che non poteva assolutamente rimanere al nido per paura che potesse infettare gli altri. Completamente abbandonate, le ostetriche e le puericultrici si facevano vedere solo una volta al giorno e si trattenevano giusto qualche minuto per i controlli essenziali. Io avevo la ferita del cesareo suturata con le graffette e un doppio accesso flebo. Ho dovuto implorare che mi togliessero il catetere per potermi alzare con meno impedimenti per accudire la bimba ed allattarla. Le uniche parole che ho ricevuto durante il ricovero sono stati rimproveri, perché tenevo la finestra aperta per cambiare aria, per come attaccavo la bimba, perché le davo il ciuccio… In bagno non c’era acqua calda, i pasti venivano consegnati in modo bislacco, sacchetti di plastica lanciati sul tavolo dalla porta appena aperta. Un incubo».

«Mi ha distrutto il fatto di essere cacciata dalla nursery»
Dora R.
34 anni
«Ho due bambini nati alla San Giuseppe di Milano. Sul parto nulla da dire, sul post non ne parliamo. Tornata in camera alle 4 di notte, dopo 33 ore di travaglio mi sono ritrovata da sola, dolorante, con punti ovunque e la bambina in camera. La notte successiva la bambina non dormiva e non si attaccava al seno, ho cercato di portarla alla nursery dove mi hanno detto che dovevo cullarla. Impossibile per me. Mi ha distrutto il fatto di essere cacciata e considerata pazza perché non riuscivo a gestire mia figlia. Stessa cosa per il secondo parto, senza aiuti. Ventiquattr’ore dopo avevo ancora la vestaglia sporca del parto, nessuno mi ha aiutato a cambiarmi e lavarmi. C’era una mamma che piangeva e non riusciva a cullare la bambina. Su dieci volte che ha chiamato il personale, sono passati un paio di volte senza sostenerla. Dicevano solo di cullare la bambina».

«Quel corridoio buio, dopo 40 ore senza sonno»
Elisabetta A.
27 anni
«La mia esperienza in un noto ospedale milanese specializzato in ginecologia e ostetricia è da dividere in più fasi. Il parto è stato positivo con l’ostetrica, pur costretta a dividersi con un’altra mamma, che mi ha accudita nelle lunghissime ore di travaglio. Il post partum è stato diverso: la seconda notte mi hanno lasciato la bambina che non riusciva ad attaccarsi e piangeva sempre. Ho passato quasi tutta la notte a girare nel corridoio con i dolori e con la piccola che piangeva perché al nido mi dicevano che avrei dovuto allattarla. Mi ricordo quel corridoio vuoto e buio in piena notte come un incubo. Non dormivo da quasi 40 ore. Solo ora mi rendo conto che quello che è successo a Roma poteva succedere anche a me».

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