San Raffaele, si studia il killer di Covid: ecco come

Nuova ricerca avviata dai professori Zangrillo e Landoni per trovare il farmaco più efficace

San Raffaele
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Perché il Covid 19 è così aggressivo? Quali sono i farmaci più efficaci per contrastare l’epidemia? A queste e molte altre domande cerca di rispondere un nuovo studio clinico in corso all’Irccs Ospedale San Raffaele, coordinato da Alberto Zangrillo – direttore delle unità di Anestesia e Rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare – e Giovanni Landoni, direttore del centro di ricerca in Anestesia e Terapia intensiva all’interno della stessa unità.

 

San Raffaele, parte lo studio contro il Covid-19

Si tratta di protocollo unitario che permetterà di raccogliere informazioni sia cliniche sia biologiche in modo sistematico e quindi di ottenere dati affidabili sull’efficacia dei farmaci oggi somministrati negli ospedali italiani.

L’approccio. All’interno dello studio ogni paziente colpito da coronavirus segue lo stesso iter terapeutico, benché possa essere preso in carico da oltre sette reparti diversi che oggi sono dedicati all’emergenza. Il percorso inizia con il prelievo di diversi campioni biologici, fra i quali sangue, plasma, urine e tamponi virali.

Incrociando le informazioni che emergono dai campioni, con i protocolli di trattamento e i dati clinici raccolti dai pazienti lungo l’intero periodo di degenza, i ricercatori del San Raffaele sperano di riuscire a capire meglio cosa accomuna i pazienti più gravi, quali sono gli indicatori che ci permettono di prevedere il decorso della malattia e quali sono i farmaci che funzionano meglio nei diversi casi.

Malattia sconosciuta. Il nuovo coronavirus si manifesta in modo molto diversificato dal punto di vista della gravità dei sintomi. E questo non solo perché in quasi l’80 per cento dei pazienti la presenza del virus è poco o per nulla sintomatica e nel restante 20% dà origine a una polmonite grave.

«Osserviamo grande variabilità anche in quel 20% di pazienti più gravi ricoverati in ospedale. Molti si riprendono con la sola somministrazione dell’ossigeno, altri necessitano della terapia intensiva e in alcuni casi addirittura dell’ossigenazione extracorporea» spiega Zangrillo.

«Al momento, su questo fronte, stiamo studiando il beneficio dalla ventilazione non-invasiva in uno stadio precocissimo della malattia, mentre nei pazienti nella fase maggiormente critica stiamo testando l’uso dell’Angiotensina II, un vasocostrittore già usato in terapia intensiva e che potrebbe dare un beneficio proprio in queste persone».

Che cosa distingua il diverso decorso dei pazienti con Covid-19 non è al momento chiaro, ma spesso a giocare un ruolo chiave nell’aggravarsi dei sintomi sembra esserci un’eccessiva risposta del sistema immunitario.

«In una parte dei pazienti si osservano altissimi livelli di infiammazione, al punto che il danno polmonare sembra essere causato in modo sostanziale anche dalle difese immunitarie stesse, ormai fuori controllo – dice Lorenzo Dagna, primario dell’unità di Immunologia e Reumatologia -. Alcuni superano questo momento con la sola somministrazione di ossigeno, mentre altri non sembrano rispondere neanche a terapie antinfiammatorie e immunosoppressive più impegnative. Capire quali siano i pazienti più a rischio e intervenire precocemente potrebbe fare la differenza. Ecco perché una sperimentazione rigorosa e su gruppi omogenei di pazienti è fondamentale».

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