Atleti milanesi campioni nell’emergenza: le storie di Repetto, Mbandà e Querzola

Tre atleti “milanesi” impegnati in prima linea nella lotta al Covid-19

atleti milanesi
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Laura Repetto della Kally Nc Milano, Maxime Mbandà delle Zebre Rugby Club e Giacomo Querzola dei Seamen Milano: gli atleti milanesi raccontano il proprio impegno nella lotta al coronavirus.

 

Atleti milanesi campioni nell’emegenza

KALLY NC MILANO
Repetto: «Ora in difesa contro il virus»

Lorenzo Pardini

In acqua, alla Kally Nc Milano, è abituata a stare in difesa e ad aiutare le sue compagne. Adesso, Laura Repetto, sta difendendo la vita contro il “nemico invisibile” coronavirus. La giocatrice del sodalizio milanese, infatti, da settimane è in prima linea, come infermiera, all’ospedale di Circolo di Varese.

Repetto, come sta andando?
«Fortunatamente, qui, la situazione non è ai livelli di Bergamo o Brescia. Dalla Chirurgia generale, dove normalmente lavoravo, sono stata spostata in Pronto soccorso, dove c’era più bisogno».

È a contatto con i pazienti positivi al Covid-19?
«No, perché sono al Pronto soccorso ed è stato diviso in due aree: quelli probabilmente infetti entrano da un’altra porta. Io sono nella zona pulita ma, spesso, capita che chi arrivi per un braccio rotto poi risulti anche positivo: per questo prendo le mie precauzioni».

Si sente un‘eroina?
«In questo periodo ci stanno dipingendo come degli eroi. Io non mi sento un‘eroina: do solo il mio contributo facendo il lavoro che ho sposato di fare».

Le manca la pallanuoto?
«L’ultima volta che sono entrata in acqua è stato il 4 marzo. Settimana scorsa mi sono collegata, via Skype, per una quarantina di minuti per fare esercizi a corpo libero insieme alle mie compagne. Invece, quando non ho tempo, faccio su e giù per le scale di casa».

Come finirà la stagione 2019-20?
«Spero che termini regolarmente: con il fatto che le Olimpiadi di Tokyo sono state posticipate al 2021, la Serie A1 potrà terminare anche oltre il termine preventivato. Certo, servirà una nuova fase di preparazione: per noi che pratichiamo uno sport d’acqua, stare fermi una settimana equivale a perdere un mese».

ZEBRE
Mbandà: «Una sofferenza mentale»

Benedetta Borsani

Maxime Mbandà, cresciuto nella cantera del rugby milanese, giocatore delle Zebre e uno dei volti più amati della Nazionale, oggi, tolta la maglia da rugbista e indossata quella della Croce Gialla, è divenuto un esempio anche fuori dal campo.

E il suo messaggio, sostenere soprattutto i più deboli e gli anziani, è stato colto da altri giovani rugbisti: a Viadana, Rovigo, Bari, a Casale Monferrato dove giocano le “sue” Rose Nere, chi divenendo a sua volta volontario, chi andando a donare il sangue.

Come va?
«È dura. Cerco di fare del mio meglio per aiutare in questa emergenza, ma non avevo mai fatto prima il volontario. A livello mentale è molto impegnativo, c’è molta sofferenza. Chi non è intubato cerca il dialogo e tu cerchi di rassicurarli il più possibile. E poi devi essere sempre concentrato, per proteggere te stesso e i tuoi quando torni a casa. Il minimo errore ti condanna».

Come l’hanno presa a casa?
«Sono tutti sono consapevoli del rischio, ma hanno capito perché lo faccio e si fidano di me: mi hanno dato il loro appoggio totale, loro e la squadra. Quindi sono tranquillo e vado dritto per la mia strada. Ci sarò sempre finché occorrerà il mio aiuto».

Da giocatore, come consideri la sospensione del campionato? La FIR è stata la prima federazione ha prendere una posizione così netta.
«Non era una decisione facile da prendere, il presidente Gavazzi ha avuto molto coraggio e non posso che apprezzarlo. Noi come rugbisti dobbiamo dare l’esempio. Lo sport è importante, ma la salute è il bene più prezioso che tutti noi dobbiamo difendere, insieme e senza polemiche. Uniti ce la faremo e, speriamo presto, potremo rivederci sui campi da rugby».

SEAMEN MILANO
Querzola: «Questa vita è durissima»

Luca Talotta

Giacomo Querzola, da running back dei Seamen Milano a medico in prima linea nella lotta contro il coronavirus all’Ospedale Maggiore di Cremona: «Sono neurologo specializzando all’ospedale Sacco di Milano, attualmente in prestito per motivi d’emergenza».

Com’è la vita ospedaliera a Cremona?
«Dura, durissima. Alcuni medici e operatori sanitari hanno toccato punte 31, 32 giorni di fila senza mai uno di riposo. Non è una situazione facile, ben più tragica di quanto non lo si descriva da fuori. In Italia la percentuale di mortalità è ben più alta di quella registrata in Cina, semplicemente perché lì chi entrava in pronto soccorso già spacciato non gli eseguivano nemmeno il tampone».

Il problema maggiore?
«I ricoveri, che non sono con la tempistica a cui siamo abituati: i pazienti stanno settimane in ospedale. Questa è la più grande criticità».

Il momento più bello, invece?
«Le dimissioni. E poi l’accoglienza delle persone non ospedaliere di Cremona. C’è una famiglia, proprietaria di un albergo, che mi ha trovato un appartamento di fronte all’ospedale. Visto che vivo in ospedale, mi fanno trovare la spesa e spesso di mattina la colazione con brioche e paste. Mi permettono di usare i loro computer per il mio lavoro e per studiare».

Un messaggio che vuole lanciare?
«State a casa, stringete i denti, riscoprite passioni o cose che non pensavate di avere tempo di poter fare. So che non è facile, vi pervade un senso di vuoto, tristezza e depressione. Ma è necessario avere ancora qualche settimana di pazienza. Siamo in guerra, nonostante molti dicano il contrario».

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