Danilo Belluardo: «Le mma mi hanno salvato»

danilo belluardo
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Per diventare il numero uno nelle mma, le arti marziali miste, Danilo Belluardo, 24enne milanese di origini siciliane, non si è tirato indietro di fronte a nulla. Ha barattato il lavoro, i divertimenti e gli affetti più cari per allenarsi fino anche tre volte al giorno.

E ha anche dormito sul tatami. Le privazioni e gli sforzi sono stati ampiamente ripagati perché il classe’94 meneghino è stato recentemente ingaggiato dalla Ufc, la più prestigiosa e importante promotion di mma al mondo. Tra meno di due settimane, il 1º giugno a Stoccolma, il debutto assoluto nella lega americana.

Belluardo, è pronto?
«Non vedo l’ora: sto aspettando con ansia questo momento e sono felicissimo di poter combattere in Ufc. È il sogno di un bambino che si avvera e sono al settimo cielo per esserci arrivato. Dedico tutto questo alla mia famiglia, ma anche a me stesso per tutti i sacrifici negli anni».

Chi affronterà in Svezia?
«Lo spagnolo Joel Alvarez. Ha un pò più d’esperienza di me perché ha uno score di 15 vittorie e due sole sconfitte, mentre io sono a 12-3. Ma ho visto qualche suo incontro e credo che possa essere un match alla mia portata. In allenamento mi sto preparando a 360° gradi, non lo temo, combatterò secondo il mio stile. Sono sotto contratto per quattro incontri e voglio vincerli tutti per ottenere la riconferma dell’Ufc e non deludere la fiducia in me riposta».

Quanto sono state importanti le mma nella sua vita?
«Fondamentali, perché mi hanno tenuto lontano dai brutti “giri”. Ho avuto solo un brutto momento nel 2016, quando avevano arrestato mio fratello, ma per il resto sono sempre state il focus della mia vita. Ho iniziato a combattere con mio padre e praticavo il jee kune do. È stato il mio maestro Filippo Stabile a indirizzarmi sulle arti marziali miste che pratico da quando ho 11 anni».

Come sta il movimento a Milano e dintorni?
«È una delle città italiane più vive: ci sono molti praticanti, appassionati ed eventi. I professionisti con cui allenarsi sono ancora molto pochi, ma pian piano stiamo crescendo. L’unica cosa che non mi piace è la concorrenza che c’è tra le palestre e alcuni management: questi “campanilismi” non sempre ti permettono di allenarti con chi vuoi e ciò va a discapito di tutto il movimento italiano. Invece in America, dove mi sono preparato le scorse settimane, ho notato che c’è una mentalità molto più aperta: arrivano atleti da tutto il mondo».

Un giorno la Ufc potrebbe sbarcare sotto la Madonnina?
«È ancora prematuro, ma siamo sulla strada giusta. La loro attenzione è sul nostro movimento e per questo credo che prenderanno altri combattenti italiani. Io sono il sesto assoluto, il primo di Milano, ma ci sono tanti altri in rampa di lancio. In questo modo ci sarà ancora più attenzione e seguito, anche da parte dei non addetti ai lavori: solo così ci saranno i giusti presupposti per organizzare un evento a Milano in futuro».

Come mai la chiamano “Caterpillar”?
«Quando ero più piccolo, i miei amici mi hanno affiliato questo soprannome perché quando combattevo ricordavo la forza di un trattore caterpillar. Alla fine mi piaceva, mi gasava quando entravo nell’ottagono, per questo non l’ho abbandonato più».


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