Diana Bianchedi, una donna in trionfo: «Ora mi vogliono sollevare tutti»

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Nell’Italia trionfante a Losanna nel giorno dell’assegnazione dei Giochi 2026 c’è il volto sorridente di una milanese doc, Diana Bianchedi, cuore pulsante della squadra che ha preparato la candidatura. Era infatti la coordinatrice del dossier promosso a pieni voti dal Cio qualche settimana prima del voto decisivo.

Si è presa due giorni per staccare la spina, lo scorso fine settimana, da ieri è tornata a lavorare insieme al Comitato di coordinamento per chiudere le attività dal punto di vista amministrativo e aprire un nuovo capitolo. Non più quella dello candidata, ma della vincitrice. L’11 luglio torneranno a Milano i membri del Cio, stavolta con la consapevolezza di essere nel Paese che ospiterà i Giochi. Ad accoglierli ci sarà anche la Bianchedi.

Analizzando al situazione a freddo, perché ha vinto Milano-Cortina?
«Siamo arrivati a Losanna forti di un dossier fatto nel miglior modo possibile e questo nella valutazione fatta dal Cio si vedeva. Sapevamo però che non poteva bastare. Dal 24 maggio abbiamo mandato ulteriori risposte al Comitato Olimpico e poi avevamo una carta vincente che era la credibilità del presidente Malagò presso i membri. Credo che negli ultimi dieci giorni prima del verdetto abbia dormito mezz’ora».

Se vogliamo vedere un piccolo neo, quel botta e risposta su San Siro ha rischiato di creare un danno?
«Ero seduta di fianco a Sala quando gli hanno fatto la domanda in conferenza, avendo risposto in maniera così ferma ha dato sicurezza. Sicuramente si poteva creare la discussione un attimino dopo, ma in generale ognuno aveva il suo ruolo anche tra i politici in campo».

Tra Malagò che la porta in trionfo, lo show del duo Moioli-Goggia e la sicurezza della Confortola è stato un trionfo al femminile.
«Devo dire che sollevarmi è abbastanza facile, essendo io 1 metro e 57… Ora tutti quelli che mi incontrano, a cinquant’anni, vogliono prendermi in braccio. Al di là della sottoscritta, il messaggio è stato quello della nuova generazione: belle, fortissime, con una sedicenne come la Confortola in mondovisione che si è scritta il discorso da sola. Siamo un Paese bellissimo di cui ogni tanto non vediamo le splendide generazioni a venire che abbiamo in casa».

Quando sapremo qualcosa in più sul management?
«Io stessa so quel che si è letto sui giornali. Delle persone non se n’è parlato perché l’idea è sempre stata che prima si doveva vincere. Il monito di Sala sul non favorire gli amici degli amici non era nemmeno in discussione, abbiamo dimostrato già in fase di candidatura che non era così».

Che differenza c’è tra vincere un’Olimpiade da atleta e guadagnare un’assegnazione da dirigente?
«La preparazione è diversa. In pedana, a un certo punto, sei abituata alla vigilia di una gara di altissimo livello. In questo caso c’era grande tensione e concentrazione. Giuro che non era trapelato niente fino all’ultimo. All’apertura della busta ho visto gente che piangeva».

Il brusco addio a Roma 2024 è servito a qualcosa, col senno di poi?
«Devo essere onesta: quando il giorno dopo la chiusura di quel capitolo ci siamo iscritti per ospitare la sessione del Cio 2019 a Milano, ci credeva solo il presidente Malagò. Nessuno di noi voleva rivivere una delusione enorme come quella. Dall’altro lato abbiamo capitalizzato quell’esperienza e fatto tesoro. Ci è stato utilissimo, io avevo fatto un archivio sul percorso della candidatura per metabolizzare il lutto e quei dieci volumi sono stati utilissimi. Dalle sconfitte si impara».


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