È difficile trovare un legame così forte come quello che lega Matteo Piano e Milano. Non intesa solo come Powervolley, la squadra di pallavolo della città che disputa la Superlega maschile e della quale ne è capitano, ma proprio come comunità. Già, perché Matteo va oltre l’essere uno sportivo: è, a modo suo, un’icona: «Capita spesso che le persone mi fermino per strada per chiedere di fare una foto assieme, per chi fa pallavolo non è una cosa così scontata».
Matteo Piano: «Le persone mi fermano per strada, cosa non scontata per un pallavolista»
Che cosa l’ha spinta a rimanere così a lungo a Milano?
«Ci ho tenuto sempre tantissimo; spesso mi dispiace, vedo un potenziale enorme che non riesce ad esplodere; però sono felice, non si sta otto anni in un posto dove non sei contento».
Milano le ha permesso anche di rinascere sportivamente…
«Sono arrivato in un momento della mia carriera dove ero deluso, reduce sì dall’argento di Rio 2016, ma poco felice. Volevo cambiare e cercavo un posto meno mediatico. E la Milano della pallavolo lo era».
Il paradosso è che oggi non è più così.
«Vero, Milano è divenuta una piazza estremamente mediatica anche per la pallavolo. E io riesco ad essere un buon comunicatore, l’ho imparato nel tempo… ma mi piace questo ruolo e mi diverto a stare a contatto con la gente. E questa dimensione me l’ha offerta proprio Milano».
Si spieghi.
«Sono stato subito accolto e amo come le persone si rapportano con me ancora oggi. Mi fermano per strada e spesso nascono anche delle gag comiche».
Ad esempio?
«Ultimamente ho preso la metropolitana con il mio abbonamento. Lo tengo nella custodia del cellulare e quindi può capitare che a volte non passi e io non me ne accorga. Un giorno non mi permetteva di uscire in quanto risultava non convalidato in ingresso, mi giro verso una signora e le chiedo se posso uscire con lei. E lei mi dice ‘Ma capitano, cos’è successo al suo abbonamento?’. Ci siamo fatti due risate; Milano è anche questa».
Insomma, Matteo Piano uno di casa…
«E questa cosa mi sorprende sempre. Soprattutto in una città che ha così tanto, a livello sportivo e non solo. La pallavolo è uno sport di nicchia, devi essere bravo a saper offrire qualcosa che possa attirare l’attenzione altrimenti le persone non le avvicini. E quindi o sei un vincente, una di quelle società che trionfa continuamente, oppure devi usare un’altra arma».
Quale?
«Quella del sorriso, dell’umanità».
Ma come sono cambiati i milanesi negli ultimi dieci anni?
«L’inizio è stato difficile, anche perché abbiamo girovagato per la provincia. Poi quando siamo arrivati in città, negli anni ho visto una metropoli che ha saputo apprezzare la pallavolo. Partivamo già da una buona base, perché Milano è città che ama lo sport in generale; ma vista l’ampia concorrenza, se non comunichi bene rischi buchi nell’acqua giganteschi».
La soluzione?
«Milano ha bisogno di essere stimolata, è una città alla quale non basta l’evento sportivo, devi creare attorno una storia, molte attività. E la pallavolo per questo obiettivo è perfetta: riesce a creare un senso di appartenenza con le persone. Un senso di vicinanza quasi a livello condominiale, di quartiere allargato».
Che è anche un paradosso, visto che la pallavolo è da sempre lo sport per eccellenza delle microcomunità (Perugia, Macerata…)
«Su Milano non era semplice attecchire; c’era bisogno di una storia, che mancava, e che invece io, oggi, essendo l’unico rimasto sin dall’inizio, racconto ai nuovi arrivati. Perché per comprendere l’oggi e provare a conquistarlo, bisogna conoscere la storia».
Come ha fatto Milano a superare il concetto pallavolo = microcomunità?
«Sicuramente ha avuto tanto cuore, in particolare il presidente Lucio Fusaro si spende molto, ha una grande capacità di entrare nelle menti di chi lo ascolta. E poi i tanti progetti laterali sono stati fondamentali. Penso a quanto fatto con Allianz UmanaMente, ma anche alla scelta di Massimo Achini, presidente del CSI Milano, come vicepresidente della società».
Celebraiamo i dieci anni di Mi-Tomorrow e il premio per lo sport viene assegnato a Matteo Piano: contento?
«Molto, davvero. Oltretutto sono molto legato ad un servizio sull’altra rivista del vostro editore, MilanoVibra, che ho amato nella sua interezza. In una piscina del Lido di Milano vuota, un posto che amo enormemente. Il premio in sé per me è una vera sorpresa, della quale sono ovviamente onorato».
In conclusione, cosa si immagina per il futuro di Milano?
«Che possa diventare ancora più europea, con una rete di trasporti più efficiente, meno scioperi, più attenzione agli studenti e lavoratori più contenti. Ne gioveremmo tutti».
Matteo Piano, chi è
Uno dei milanesi sportivi più longevi in attività, sebbene milanese non lo sia. La storia di Matteo Piano è quella di un giovane trentaquattrenne di Asti che, nel 2017, decide di unirsi alla Powervolley Milano. Con la società del presidente Lucio Fusaro conquista la Challenge Cup, terza coppa europea per importanza e primo trofeo continentale nella storia della società, e raggiunge per due volte le semifinali Scudetto. Proprio a lui Mi-Tomorrow consegnerà il Premio Sport.